Quello che nasconde il mercato dell’arte, di Scott Reyburn (La Repubblica, 26-10-2015)

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È cominciata una nuova stagione del mercato dell’arte, e ci apprestiamo ad assistere a un’altra sequela di aste multimilionarie che lasceranno sbalordito e stordito chi è poco avvezzo ai meccanismi di questo mondo. Le aste sono, da secoli, un modo teatrale per vendere opere d’arte. Ma negli ultimi due o tre anni, con la proliferazione di costose garanzie sul prezzo di vendita per le aste di arte contemporanea più importanti organizzate da Sotheby’s e da Christie’s (e i complessi accordi finanziari che le accompagnano), sono diventate una forma di spettacolo che perfino gli spettatori più navigati faticano a comprendere del tutto.

A Londra e a New York, i battitori sollecitano offerte per opere d’arte che a tutti gli effetti sono già state vendute. Dopo una raffica di inesistenti offerte “civetta”, spesso si arriva a un’offerta corrispondente al prezzo (non divulgato) della garanzia, da parte di una terza parte non identificata (che ha garantito la vendita in cambio di una fetta di tutto quello che arriva oltre quella cifra) o da parte della casa d’aste stessa, di solito attraverso un dipendente che fa l’offerta via telefono. Possono seguire altri rilanci da parte di acquirenti anonimi, in sala o al telefono, a volte con altri rilanci ancora del garante, finché il martelletto, finalmente, non scende giù. «La casa d’aste ha creato un’esperienza teatrale, ingigantendo l’emozione della compravendita», dice Greg Davies, direttore del dipartimento di finanza comportamentale e quantitativa della Barclays. «Quelli che stanno all’interno, gli insider , occupano una posizione privilegiata, sono collegati fra loro. Quelli che stanno al di fuori, gli outsider , possono comprare l’accesso ai beni, ma non la base di conoscenza. O fai parte del branco o non ne fai parte». Un dipinto può essere venduto a un’asta pubblica per più di 100 milioni di dollari e l’identità del venditore, del garante, degli offerenti esterni e dell’acquirente finale può rimanere riservata. A oltre quattro mesi di distanza, non si sa ancora chi ha venduto, garantito o acquistato il dipinto di Picasso del 1955 Le donne di Algeri (versione O) , che l’11 maggio è stato battuto da Christie’s per la cifra record di 179,4 milioni di dollari. A gennaio, al Forum economico mondiale di Davos, in Svizzera, l’economista americano Nouriel Roubini, che è anche collezionista, ha gettato un sasso nello stagno dichiarando al

Financial Times che il mercato dell’arte dovrebbe essere maggiormente regolamentato, perché sono sempre più frequenti i casi di compravendite viziate da informazioni riservate, riciclaggio di denaro sporco, manipolazione dei prezzi ed evasione fiscale. Il tema è stato ripreso il 3 settembre alla Art Business Conference 2015 di Londra. Robert Hiscox, anche lui collezionista di primo piano, ha detto a oltre trecento delegati che il mercato dell’arte è come il far west.

Tutte le principali case d’aste sostengono di adottare metodi commerciali rigorosamente etici. Mitzi Mina, responsabile dell’ufficio stampa di Sotheby’s a Londra, ci ha detto via mail che la sua casa d’aste «adotta procedure affidabili e accurate per accertare l’identità dei clienti, che garantiscono, fra le altre cose, il rispetto della normativa più recente in materia di contrasto al riciclaggio di denaro e alla corruzione in tutte le località in cui effettuiamo le nostre vendite». Ciononostante, non sembra particolarmente difficile escogitare modi per fare soldi sul mercato dell’arte in modo poco trasparente.

Quel che è certo è che ci sono momenti, nelle vendite all’asta, che sembrano diventare sempre meno trasparenti: che succede esattamente quando un mercante d’arte rialza l’offerta per un giovane artista su cui ha investito? E ci sono conflitti di interessi quando una casa d’aste condivide una garanzia finanziaria con terzi?

«Si ha sempre di più la sensazione che certe pratiche commerciali, specialmente ai livelli più alti del settore delle aste, manchino di trasparenza, dando adito a sospetti di insider trading », ci ha detto per telefono Tom Flynn, direttore del corso di master in mercato dell’arte alla Kingston University di Londra, che ha moderato una tavola rotonda alla Art Business Conference.

Siamo abbastanza lontani, tuttavia, dai problemi strutturali che quasi vent’anni fa spinsero il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ad avviare un’indagine penale lunga tre anni sulle collusione nelle case d’aste. Nel 2000, Sotheby’s e Christie’s furono costrette a sborsare, fra tutte e due, 512 milioni di dollari in transazioni extragiudiziali per bloccare le accuse di aver imbrogliato compratori e venditori. Nell’aprile del 2002, un giudice federale condannò Alfred Taubman, proprietario principale ed ex presidente della Sotheby’s a un anno e un giorno di prigione e a una multa di 7,5 milioni di dollari per il ruolo avuto nel meccanismo per fissare i prezzi.

Taubman è morto ad aprile, all’età di 91 anni. Per sottolineare quanto le cose siano cambiate dall’epoca di quello scandalo, Sotheby’s si è assicurata la collezione del suo vecchio capo, che sarà messa all’asta a novembre e a gennaio, ma solo dopo aver garantito agli eredi un prezzo minimo di 500 milioni di dollari, per evitare che i rivali di Christie’s le soffiassero l’affare.

Per il momento, la maggior parte delle persone coinvolte nel mercato dell’arte non sembra particolarmente turbata da questa mancanza di trasparenza. «L’opacità è un’attrattiva», ha detto in un’intervista Suzanne Gyorgy, responsabile globale per la finanza e la consulenza nel mercato dell’arte alla City Private Bank. «Si diventa parte del gioco, con regole note solo agli iniziati. Mi piacerebbe che ci fosse un po’ più di trasparenza sulle garanzie di terzi. Ma la gente non vuole che il mercato dell’arte sia regolamentato, perché così si toglierebbe tutto il divertimento. Più o meno come quando Dorothy scopre la tenda che nascondeva il Mago di Oz».

© The New York Times 2015 (Traduzione di Fabio Galimberti) ©RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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