LUCA PADRONI risponde alle cinque domande di Hidalgo

luca padroni foto di elena marioni

Luca Padroni, artista romano, si è formato all’estero, UK e United States. Ottiene prima un diploma (BTEC) presso il Kent Institute of Art and Design, poi la laurea in belle arti (BA) presso la Slade School of Fine Arts di Londra. Nel 2001 vince una borsa di Studio Fulbright e frequenta per un semestre il San Francisco Art Institute.

Attualmente vive e lavora a Roma.

Le opere dei treni hanno caratterizzato il suo esordio con la prima mostra personale, Tran Tram presso la galleria Oddi Baglioni di Roma nel 2005, seguita da, Pittori al Muro, alla Galleria L’Attico di Roma nel 2006. In queste opere le architetture della stazione termini diventano proiezioni mentali in cui l’osservatore viene catturato dalla vertigine del punto prospettico; ignorando tutto quello che non partecipa a questo movimento fluido, strutturato, inesorabile, l’artista produce un’ immagine essenziale che rispecchia più uno stato d’animo.La sua ricerca prosegue con una forte impronta esistenziale.

Tra le principali mostre ricordiamo:

I Valori Personali, CR Arte, Palazzo Taverna, Roma (2015); Tempo Spazio Movimento, Galleria Espace Gaia, Geneve (2013); Biografie Visionarie, Galleria Wunderkammern, Roma (2012); Fuoco cammina con me, Galleria Il Segno, Roma (2010); Terra!, Galleria Trecinque, Rieti (2010); Oltre il Trompe l’Oeil, Galleria L’Attico, Roma (2010); Fault Lines, Galleria Testori Uk, Londra, UK (2008); Transiberica, Galeria La Aurora, Murcia, Spagna (2007); Pittori al Muro, Galleria L’Attico, Roma (2006); Tran-Tram, Galleria Oddi Baglioni, Roma (2005).

Ha partecipato inoltre alla XIV edizione della Quadriennale di Roma, Galleria Nazionale, Roma (2005), è stato invitato al padiglione italiano della Biennale di Venezia del 2011.

 

Qual è il ruolo della comunicazione, anzi dell’ipercomunicazione tipica dei nostri tempi, nel condizionare le dinamiche del mondo dell’arte?

La velocità con cui viviamo le nostre vite cambia la percezione delle opere, diventa più difficile recepire qualità e valori che non siano messi chiaramente in evidenza, se non addirittura urlati, a volte banalizzando molto i contenuti. Penso ad esempio, a quanti oggi siano in grado di apprezzare l’opera di Balthus, in questo momento esposta a Roma in due sedi, che mi ha inaspettatamente regalato forti emozioni dal vivo.

In che misura e in che modo la crisi economica e di valori che attraversa l’intero Occidente riverbera e influisce sull’arte contemporanea?

Intanto non so se si può parlare più di crisi economica. Diventa sempre più evidente che si tratta di una costante affermazione degli interessi delle grandi società corporative. Se ci sono persone che si possono permettere di pagare centinaia di milioni di euro per una singola opera d’arte, è chiaro che i soldi ci sono, ma mal distribuiti. Credo che per vivere in una società equilibrata e che rispetti la dignità di ogni individuo, le grandi corporazioni dovrebbero accettare un margine di “spreco”, cioè di denaro destinato ad attività non redditizie, riequilibrare il divario tra i salari, per esempio. Uno studio che ho letto ormai tempo fa analizzava la forbice media tra il salario di un dipendente di categoria più bassa, es. l’usciere, e quello al vertice, es. amministratore delegato, di una stessa azienda; ancora negli anni 80 il divario era mediamente da 1 a 30, oggi da 1 a 150. Purtroppo ci sono persone che si arrogano il diritto di avere di più dalla vita, di essere più umani di altri, e il nostro sistema economico sociale e finanziario ha un punto debole nella pochezza della politica e nei meccanismi perversi della corruzione, a tutti i livelli, per cui se qualcosa mi conviene personalmente, al diavolo i principi o i valori comuni in cui ho creduto fino a ieri.

In questo scenario, vediamo l’arte diventare un pretesto per l’ennesima speculazione finanziaria. L’arte oggi non ha limiti, non ha più neanche identità a dirla tutta, e non è soggetta ad alcun giudizio, si può rifilare al pubblico qualunque cosa tanto il pubblico non ha un ruolo nel successo o meno dell’opera. Salgono alla ribalta artisti che non hanno avuto alcun effetto sul pubblico o influenza sui loro colleghi, ma che grazie alle capacità speculative di un grande mercante hanno raggiunto quotazioni milionarie. Il collezionista che compra un’opera per passione, o per caso non esiste quasi più, anche perché nella maggior parte dei casi non può permettersi i prezzi drogati da questo sistema.

Esiste ancora una autonomia e un ruolo per il critico d’arte?

Il critico d’arte dovrebbe essere la persona in grado di illuminare la percezione di un’opera, rivelandone aspetti che ci facciano arrivare con più intensità il suo valore, qualcosa che magari sarebbe rimasto per noi a livello intuitivo. Dovrebbe essere un esperto in materia, ma oggi qual è la materia?

La vera attività del critico, che spesso scrive qualunque cosa su chiunque pur di essere ben retribuito, è inserirsi nelle maglie del potere, finanziario e politico, assecondandone gli interessi e promuovendo infine quegli artisti che più si prestano per questo fine. Infatti non essendoci più alcun riscontro con il pubblico, più nessun luogo in cui si discuta effettivamente di arte (non c’è più arte, sarebbe come parlare del più e del meno), i giornali e i pochi spazi deputati a questo dibattito parlano solamente delle quotazioni raggiunte nelle vendite, a volte dichiaratamente a volte velatamente, e in ogni caso con fini esclusivamente pubblicitari.

Che ruolo gioca il sistema dell’arte nella selezione delle figure più influenti e di successo?

Credo di aver già risposto a questa domanda.

Quali ti sembrano le figure di intellettuali (curatori, direttori di museo, filosofi) prestati all’arte di maggiore interesse?

Avete utilizzato davvero la parola intellettuali? Cioè quelle persone che studiano e sono più colte delle altre?! Il problema con gli intellettuali è che oltre alle nozioni le cose bisogna conoscerle, e difficilmente lo si può fare seduti a una scrivania.

Ovviamente specie riguardo a quello che ho detto circa i curatori, ci sono delle eccezioni. Ma credo che l’arte parli da sé, bisogna guardarla, possibilmente a lungo. Lo stesso vale per l’attività di un curatore.

Però è interessante che abbiate citato anche la categoria dei filosofi. Perché proprio dalla nullità dell’opera d’arte nasce l’esigenza e anche la convenienza dell’entrata in scena della filosofia: l’opera d’arte diventa veicolo di conoscenza filosofica, dunque meritevole di attenzione. Una buona percentuale di artisti sfrutta questo stratagemma per giustificare la realtà fisica delle loro opere altrimenti non proprio degne di nota.

Tanti anni fa durante un colloquio alla New Castle University Upon Tyne, in seguito alla mia richiesta di iscrizione come undergraduate alla facoltà di belle arti, mi chiesero cosa volesse dire per me la pittura. Cercai di spiegargli farfugliando miseramente (complice la lingua) quanto la pittura fosse sempre in cima ai miei pensieri, che gli eventi della mia vita, anche i più banali e quotidiani, in qualche modo ispiravano sempre una traduzione pittorica, cui mi dedicavo interamente. E uno dei due professori mi disse: forse più semplicemente la pittura è una filosofia di vita?

Mi colpì, anche se ammetto che non lo capii subito.

Ora che sono più vecchio penso che sia proprio così, è sempre una questione di filosofia di vita.

 

 

 

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