Balthus, di Achille Bonito Oliva (La Repubblica, 25-10-2015)

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Balthasar Klossowski de Rola, cioè Balthus, è tornato a Roma con 150 opere alle Scuderie del Quirinale e 50 tra dipinti, disegni preparatori, schizzi e fotografie all’Accademia di Francia, che diresse per ben 17 anni. La mostra è curata da Cécile Debray in collaborazione con Matteo Lanfranconi, fino al 31 gennaio. Indubbiamente il pittore francese rappresenta una figura emblematica dell’arte del ventesimo secolo influenzato dalla Metafisica, dal Realismo magico e dalla Nuova oggettività tedesca.

Alle Scuderie scorre una vera e propria retrospettiva dell’avventura creativa di Balthus (1908–2001). Qui sono raccolte opere fondamentali e significative del suo percorso: Le roi du chats (1935), Les enfants blanchard (1937), La toilette de Cathy (1933) e Les jour de cartes (1968 – 1973). La figura è il punto focale nella sua opera, detiene la centralità del linguaggio, portatrice dell’intenzione e del desiderio di potenza dell’immaginario.

Qui le figure dell’arte sono svariate e cangianti, adottano molteplici messe in posa, vestite e messe a nudo per presentarsi sotto lo sguardo dello spettatore. Sono portatrici di seduzione ed abbaglio. Balthus non trattiene il linguaggio dell’arte sul piano della comunicazione comune: la seduzione nasce dal bisogno di creare un varco e un lampo nel pratico inerte del quotidiano, una epifania che lacera l’orizzontale impermeabilità dell’esistente. La figura è l’assunzione eccentrica di una particolare condizione eccitata dell’immaginario. Questo fonda un particolare erotismo dell’immagine che assume spesso il travestimento di presenze adolescenziali, riprese e sospese nell’indolenza di pose che lasciano sospettare voluttà e inconsapevolezza. Ed è così che l’artista marca la soglia, il solco naturale che separa l’apparizione dell’arte da altre apparizioni. La sua qualità specifica risiede nella particolare apparenza, nel presentarsi senza sforzo nello sfarzo di una scena domestica che invita senza difficoltà all’abbandono. «L’arte è un aspetto della ricerca della grazia da parte dell’uomo: la sua estasi a volte, quando in parte riesce; la sua rabbia e agonia, quando a volte fallisce» (Gregory Bateson,

Stile, grazia e informazione ). Sicuramente l’estasi prende innanzitutto l’artista Balthus: quando l’immagine diventa epifania anche l’occhio del pittore e quello dello spettatore sono attraversati da uno stato estatico che li costringere ad assumere la posizione del voyeur.

Dunque la figura nell’opera di Balthus è portatrice di uno scompenso tra la propria immagine e quelle esterne e produce una condizione visiva che rasenta il dormiveglia e uno stato di torpore. Lo testimoniano opere come Nu de profil, La patience.

L’estasi sembra essere l’agognata prospettiva, l’irraggiungibile condizione che il processo creativo può produrre. Tutto questo è visibile nella parte della mostra all’Accademia di Francia di Villa Medici, che l’artista – nominato da Andrè Malraux – diresse dal 1961 al 1977. Il lungo soggiorno in Italia lo mette a contatto con la grande pittura italiana, specialmente quella del Quattrocento e in particolare con la magistrale lezione, per segno e colore, di Piero della Francesca. È importante lo scontornato delle sue immagini, è da questo particolare stilistico che si evince la natura correttiva dell’arte che tende a trattenere l’eros e ogni pathos iconografico. Prevale in tal modo una compostezza che mantiene l’immagine nei confini accettabili di una un’ambigua innocenza. Balthus opera su una linea di confine: tra il furor di una produzione spinta oltre misura e quella di contenerla nei codici sociali. La figura costituisce il perturbante, ciò che determina il segnale di un allarme sociale che attraversa tutto il linguaggio e l’immaginario collettivo. Ma alla fine quello che prevale è uno stato di attesa, la sospensione di ogni remora morale e la resa di fronte all’estasi dell’immagine. Le chat au miroir (1977 – 1980), La chambre turque (1963 – 1966) costituiscono l’ulteriore prova che l’arte non sopporta l’indifferenza, la distrazione di uno sguardo che si ponga in una condizione inerte perciò in Balthus la figura introduce sempre la bellezza che, come dice Leon Battista Alberti, è una forma di difesa. Difesa dall’inerzia del quotidiano e dalla possibilità di scacco da parte di sguardi indifferenti che non restano abbagliati alla sua apparizione.

La pittura di Balthus aggira ogni convenzione per approdare in un luogo sospeso e sottratto ai rumori delle cose e completamente segnato dal silenzio iconografico dell’immagine.

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