DAMIEN HIRST. QUANDO L’ARTE CADE NEL TRANELLO DELLA PUBBLICITÀ, di Virginia Zullo (D_ART)

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Damien Hirst scopre le sue carte, l’artista multimiliardario che ha costruito la sua fortuna lanciando il teschio tempestato di diamanti, un’icona assoluta della rappresentazione della morte, diventando anche gallerista.

Damien Steven Hirst (Bristol, 1965) ha fatto della morte e della sua possibile e impossibile rappresentazione un suo marchio di fabbrica.

Il manifesto della sua poetica si esprime nell’idea della l’impossibilità fisica della morte nella mente di un vivo,The Physical Impossibility Of Death In the Mind Of Someone Living.

Giusto per fare un esempio pensiamo al suo squalo tigre di oltre 4 metri in formaldeide dentro una vetrina, simbolo della sua arte, allo squalo si sono aggiunti molti altri animali in formaldeide, carcasse che l’hanno reso famoso e multimiliardario.

Hirst è diventato famoso anche per l’uso di tecniche definite spin paintings, consistenti nel dipingere su una superficie circolare in rotazione come un vinile sul giradischi, e spot paintings, consistenti in righe di cerchi colorati, imitando la grafica pubblicitaria degli ultimi anni.

Ma ormai Damien Hirst non è solo un artista ma anche un gallerista, un collezionista ed un imprenditore.

La sua ascesa è stata fulminea, a quarant’anni valeva una cifra pari a cento milioni di sterline, inizialmente a renderlo famoso è stato il collezionista e pubblicitario anglo-iracheno Charles Saatchi, con il quale in seguito ha litigato.

Per uno che ha ormai accumulato una fortuna e che è l’artista vivente più pagato dopo Jasper Johns, non deve essere stato difficile restaurare cinque magazzini vittoriani in Vauxall per esporvi le tante importanti opere appartenenti alla sua consistente collezione privata battezzata con il nome di Murderme Collection. Di questa collezione fanno parte le opere che Hirst ha collezionato a partire dagli anni ’80.

In occasione dell’apertura è prevista anche una mostra dedicata a John Hoyland in corso fino ad aprile del 2016.

La sua arte, se è lecito definirla in questo modo, è fortemente legata al mondo pubblicitario, non a caso il suo primo collezionista e colui che l’ha lanciato nel mondo dell’arte era proprio un pubblicitario.

Non voglio con questo alimentare inutili polemiche sull’effettivo valore delle sue opere, ma ne prendo le distanze, ritenendo, semplicemente, che talvolta la furbizia commerciale può certamente arrivare a suggestionare galleristi e collezionisti.

Ha “fregato” molti, per esempio, con i piccoli spot, gli spin painting e i lavori con le farfalle di modeste dimensioni permettono, a molti galleristi e piccoli collezionisti, di possedere un pezzo “prêt-à-porter” di Hirst Hirst, con l’illusione che sia una piccola parte dello squalo tigre di cinque metri.

Elemento biografico importante di Damien Hirst è il suo essere stato un centralinista per la M.A.S. Research, una ditta di ricerche di mercato, dove imparò che con una telefonata si può comprare e vendere qualsiasi cosa…

Certo la telefonata deve colpire i punti nevralgici dell’interlocutore e certamente Hirst capì, in seguito, che giocare sul topos della morte, presentando cadaveri di animali in formaldeide avrebbe “colpito” chiunque.

Gli animalisti gli sono ostili, ma la domanda che ci si pone è: perché non usare cadaveri umani …?

Sin lì Hirst non si spinge, l’animale sconvolge forse meno?

L’equivoco fondamentale della sua sedicente arte, sta proprio qui, la sua è solo una banale provocazione che non ha il coraggio, perché non può farlo, di presentare l’impresentabile ovvero la morte di uomo, un cadavere che resta un tabù.

Nella religione cristiana abbiamo un uomo in croce, certo, ma non è un uomo qualsiasi, è lui stesso un Dio e figlio di Dio. Nella nostra civiltà, la morte è tollerata solo se vi è un Dio garante.

Nell’era del tutto si può vendere – basta sapere come farlo – Damien Hirst ci ha venduto un’idea insulsa e banale della morte, una morte da obitorio e da squallido macellaio…

Nell’era della pubblicità e del business facile qualcuno ha ben pensato di monetizzare l’affare carcassa di animale in formaldeide…

Perche poi, è chiaro che un teschio tempestato di diamanti, arte o non arte, vale proprio tanto…

 

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