CLAUDIA PEILL risponde alle cinque domande di Hidalgo

ritratto CLAUDIA PEILL

Claudia Peill risponde alle cinque domande di Hidalgo a partire dalla sua esperienza artistica, consumata fra pennelli e obbiettivo. Pittura e fotografia, infatti, rappresentano il linguaggio e lo strumento espressivo di questa talentuosa artista, indagatrice di corpi, o meglio di porzioni di corpi, umani e architettonici.

Il suo consiglio è di non combattere il sistema dell’arte come fosse un nemico, ma di entrarci in relazione dialettica, per indagarne le ragioni e poter trovare uno spazio per la propria testimonianza.

 

Qual è il ruolo della comunicazione, anzi dell’ipercomunicazione tipica dei nostri tempi, nel condizionare le dinamiche del mondo dell’arte?

Certamente la comunicazione è vitale per qualsiasi tipo di relazione, da quella amorosa a quella finanziaria o pubblicitaria.. Il mondo dell’informazione è parallelo a quello della comunicazione. Poi quanto l’informazione sia formativa è un’altra storia. Non tutto quello che arriva si ferma nella nostra memoria e diventa conoscenza, anzi solo una piccolissima parte di essa e tanto più velocemente arriva tanto più velocemente sfuma, senza lasciare traccia.

Un mio professore diceva che il sapere deve scendere dalla mente al cuore, ma per questo processo serve elaborazione e sedimentazione e perciò occorre del tempo, ma ora tutto ci raggiunge e si consuma con troppa fretta, come appunto l’amore o anche il successo.

 

In che misura e in che modo la crisi economica e di valori che attraversa l’intero Occidente riverbera e influisce sull’arte contemporanea?

La crisi che attraversa il mondo occidentale si ripercuote completamente nell’arte contemporanea. L’arte vive della sua contemporaneità e dunque è certo che i suoi valori sono stati messi in discussione e non ci sono solidi appigli su cui attaccarsi. Ma poiché l’arte è sempre anticipatrice della storia, penso che la crisi dell’arte sia avvenuta prima della crisi economica, proprio perché l’arte con grande anticipo ha avvertito lo smarrimento dell’Occidente e ha sentito dentro di sé che il sistema di certezze occidentali stava per collassare.

 

Esiste ancora una autonomia e un ruolo per il critico d’arte?

La critica d’arte intesa come pensiero riflessivo sull’arte è certamente positiva. La dialettica è necessaria a qualsiasi percorso creativo. In questo senso credo nel valore di un confronto e in uno scambio con uno storico dell’arte perché la lettura critica fa crescere il lavoro di un artista.

 

Che ruolo gioca il sistema dell’arte nella selezione delle figure più influenti e di successo?

Il ruolo più determinante. Tutto ruota dentro il sistema dell’arte. E’ appunto un sistema, e con sistematicità impone le sue regole. Ma non si deve considerare come una potenza astratta e nemica, entità extraterrestre e inafferrabile o come una macchina da guerra che schiaccia chi non è a bordo. Il sistema dell’arte è fatto di persone, di denaro e di giochi economici e bisogna farci i conti senza subirlo né ignorarlo: è ingenuo combatterlo come è pericoloso sedurlo. Ogni artista dovrebbe riconoscere dove e come collocarsi, sempre.

 

Quali ti sembrano le figure di intellettuali (curatori, direttori di museo, filosofi) prestati all’arte di maggiore interesse?

Nonostante siamo in una epoca di globalizzazione in effetti i saperi sono sempre più circoscritti nel proprio territorio che è sempre più specifico e ogni ambito culturale rimane concentrato su se stesso senza relazioni di scambio e reciprocità. Forse per un eccesso di informazione il tutto e il tanto producono allo stesso tempo il nulla e il vuoto e molto isolamento.

Ma l’arte, che da sempre si alimenta di tutto, trova nutrimento e i suoi stimoli ovunque, anche in assenza di una sponda critica specifica. Oggi non si può teorizzare più nulla, credo, perché nel momento in cui nasce una teoria questa è presto fagocitata da se stessa. Tutto si consuma così velocemente che non si può teorizzare un pensiero, giusto si può lanciare uno stile e una tendenza, ed essere per l’appunto trendy. Ma il tutto può durare sei mesi e svanire.

Non è nichilismo, ma penso che oggi la cultura non sia in grado di indirizzare la società, la vita si scopre vivendo, e così anche il pensiero filosofico definisce se stesso nella sua stessa riflessione. Siamo tutti soli di fronte all’ignoto. Gli artisti, gli intellettuali, i poeti. E l’arte vive della sua stessa precarietà e indefinitezza, ma forse questa sua caratteristica attuale è anche la sua forza.

Infatti è appunto nella ricerca solitaria e autonoma, anche se faticosa, che un artista tenta di dare la propria risposta al mondo e, in questa società che è sempre più sopraffattrice, di rimanere se stesso. Questa è la ragione vitale per continuare a creare e a pensare. Il pensiero non si può consumare e l’arte aiuta a preservarci.

Tra le esposizioni personali si ricordano: “Intersezioni/Intersections” Museo Hendrik Christian Andersen, Roma 2013-14; “Sguardi condivisi” Mara Coccia Arte Contemporanea, Roma 2012; “Fiato” Galerie Rossella Junck, Berlino 2008-09; “La città delle ombre bianche, Schifano-Peill” Galleria Anna d’Ascanio, Roma 2006; “Claudia Peill, chi vola vuole ” Galleria Martano,Torino, 2004; “Claudia Peill, Caduta libera” Galleria Pack, Milano, 2004; “Claudia Peill, Waves” Italian Cultural Institute of London, 2003; “Claudia Peill” Galerie Andreas Brüning Düsseldorf, 2003.

Tra le mostre collettive si segnalano: “Mit Goethe in Italien” Ambasciata di Italia in Berlino, Germania 2016; “Azioni antiche” GNAM Roma 2015; “Höherweg 271” Künsthalle Düsseldorf, Germania 2005; “Transgression” Künstlerhaus, Vienna, Austria 2001; “Fotoalchimie” Museo Pecci, Prato, 2000; “Il corpo assente” Künstverein Steyr, Austria 1999; “Arti visive2” Palazzo Ducale, Genova 1998.

Le sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche, come quelle del Museo Pecci a Prato, dell’Università Tor Vergata di Roma, del Kunststiftung NRW di Düsseldorf e della Galleria nazionale di arte moderna di Roma.

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1 Comment

  1. Collettivo artistico L G A A

    Troviamo le parole di Claudia Peill molto sagge.
    Li abbiamo usate in un copy & paste per un commento su ‘Artribune’ -mercoledì 25 maggio 2016- “Cosa significa per un giovane artista del Belpaese lavorare a New York? Lo racconta una mostra all’Istituto di Cultura Italiano.

    “Collettivo artistico indipendente L G A A ( LondonGiusAngelArt) .

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