“Se tutto è arte…”. Un dibattito aperto

Ci sembra interessante, in  questi giorni di riflessione,  sottoporre all’attenzione dei nostri lettori la risposta dell’autore del libro “Se tutto è arte…” (Mimesis, 2019), Roberto Gramiccia, alla recensione firmata Luigi Capano, pubblicata su http://exibart.com lo scorso 4 marzo. 

Il Sistema dell’arte, la sua nomenclatura, le sue regole (o assenza di regole), il suo rapporto col potere . Argomenti scottanti che meritano una riflessione articolata.

Ecco, quindi,  la recensione di Luigi Capano. A seguire la risposta di Roberto Gramiccia.

Buona lettura!


“Se tutto è arte…, l’ultimo libro “giacobino” di Roberto Gramiccia

È un libro-guerriglia contro il “sistema dell’arte” di oggi quello edito da Mimesis, a firma di Roberto Gramiccia, scrittore, medico e critico d’arte.

L’arte non se la passa bene: il quadro clinico è allarmante, l’anamnesi impietosa, la diagnosi inesorabile, la prognosi incerta. Ce lo racconta l’ultimo libro “giacobino” di Roberto Gramiccia – medico, saggista, curatore e critico d’arte – scritto, con lucida passione e con partecipata sofferenza, al capezzale del malato. L’autore – è evidente – ama il proprio paziente, si infervora, tribola, soffre, inveisce, accusa, tenta soluzioni terapeutiche. L’arte – ci spiega – è mortificata dai potentati economici, dal pensiero unico della finanza e delle banche, asservita alle speculazioni del mercato, ridotta a merce, a prodotto finanziario, messa a catena al servizio del profitto. «Penso proprio si possa affermare che quella che viviamo sia l’epoca più sterile in senso assoluto. Non solo non nascono più grandi artisti, ma nemmeno grandi poeti, letterati, filosofi e musicisti», sostiene. L’arte soffre di una mancanza di senso («L’arte è tutto ciò che gli esseri umani definiscono arte» scriveva Dino Formaggio) e di orizzonti definiti (ha dimenticato cosa sia la misura, il limite, il metron caro ai pitagorici). Sembra aver perso ogni contatto con il thauma (quel senso di stupore misto a paura che avvicina l’arte alla possessione panica), con l’aìsthesis (la percezione mediata dai sensi e dalla mente), con ogni parvenza di perimetro identitario, col minimo lacerto di realtà («perché l’arte ha sempre a che vedere con la realtà, indipendentemente dai linguaggi e dagli stili che sceglie per esprimersi»). In tale contesto, sregolato e caotico, hanno la meglio quegli artisti le cui qualità imprenditoriali sopravanzano il talento creativo. Tre nomi su tutti, «tre star incontrastate del pantheon dell’arte post-contemporanea»: Jeff Koons, Damien Hirst e Maurizio Cattelan. Tutto questo con la colpevole connivenza di critici, curatori, case d’asta, gallerie (viene citata la catena Gagosian). L’autore articola le proprie tesi dichiarando di far propria la teoria marxiana che «colloca l’arte entro un ambito che viene definito sovrastrutturale, in rapporto stretto con la struttura economica della società… Oltre all’arte, alla sovrastruttura attengono: la filosofia, il diritto, le varie forme di pensiero, le attività spirituali in genere». Ma tutte le teorie – compresa quella dell’hegeliano Marx – non hanno forse come necessario presupposto il pensiero, unica reale struttura portante dell’arte, dell’economia, della politica e di tutte le altre categorie attraverso cui ci si palesa? Constatando, infine, che alla politica l’autore riconosce un ruolo cruciale («…Recuperare all’arte la propria autonomia non è un problema solo degli artisti. È un problema di tutti… Ho la consapevolezza e la convinzione che si tratti, infatti, di una faccenda squisitamente politica»), restiamo sorpresi dal tenore oltremodo feriale di certi riferimenti rapsodici al pensiero unico neoliberale (ma ogni ideologia, purtroppo, aspira al pensiero unico), alla vecchia diade sinistra-destra, ai mantra rituali: fascismo, nazismo, nazifascismo, Hitler, Mussolini e via giaculando. E ancor di più ci lascia perplessi l’incauta postfazione di Pietro Folena dove si legge «…non sarebbe giunta l’ora di dar vita a un fronte nuovo delle Arti…? Di immaginare una grande mostra di questo Fronte che proponga i valori radicali dell’Antifascismo?» e dove si propone di «immaginare garanzie, protezioni, istituti che permettano di liberare l’artista dalla totale dipendenza dal mercato». Povera arte! Dalla padella alla brace… tirata per la collottola dai gestori dell’economia e dagli amministratori della politica! Non sarebbe più proficuo, piuttosto, volgere l’attenzione a quel pensiero multiforme e sfuggente che ininterrottamente genera e innerva arte, economia, politica?

Luigi   Capano

https://www.exibart.com/libri-ed-editoria/se-tutto-e-arte-lultimo-libro-giacobino-di-roberto-gramiccia/


A proposito della recensione di “Se tutto è arte…” su Exibart

Dico subito che questa nota, se le circostanze non ci avessero obbligato a un’inattività forzata, forse non l’avrei mai scritta. Ma il troppo tempo libero che abbiamo in questi giorni si deve pure occupare in qualche modo. E allora colgo l’occasione, fornitami dalla nuova veste di Hidalgo, che sta pure lui in quarantena, per rivolgere un ringraziamento. Voglio ringraziare Luigi Capano per la recensione, comparsa il 4 marzo scorso su Exibart, del mio ultimo libro, “Se tutto è arte…” (Mimesis). Non è affatto scontato, infatti, che su testate importanti ci si occupi di libri dedicati all’arte contemporanea che, a torto, vengono considerati lontani dall’interesse del grande pubblico. O, per dirla tutta, ci si occupi di opere che si collochino al di fuori del sistema consolidato di interessi che favorisce solo alcune case editrici e quindi alcuni autori.

Grazie quindi Capano, in specie per aver definito il mio libro “giacobino”, che ho trovato un aggettivo azzeccatissimo. Mi consenta, però, di corrispondere alla sua apprezzabile sincerità con altrettanta sincerità. E allora mi piacerebbe sapere (ma è una domanda puramente retorica che non pretende risposta) per quale motivo sarebbero “feriali” (e non festivi) i miei riferimenti al pensiero unico neoliberale.

Sul fatto che ogni ideologia aspiri ad essere unica posso anche convenire. Anche se fatico a mettere le ideologie sullo stesso piano. Lei evidentemente non ha piacere che si continuino a citare Hitler e Mussolini, ma ammetterà che un conto è parlare dell’ideologia dello sterminio dell’allievo del Duce e altro conto è parlare di una qualsiasi ideologia progressista democratica, pacifista ed ecologista per esempio.

Il fatto di considerare vecchia e desueta la diade destra sinistra non è un argomento originalissimo. A parte il futuro politico di chi ha fatto di questo principio una stella polare, che non mi sembra esattamente luminoso, vorrei farle notare che nell’attuale schieramento politico la parte, speriamo temporaneamente, prevalente si definisce di centro-destra e su questo non vi è nessuno che possa interloquire. E allora se esiste una destra dovrà pure esistere una sinistra. O no? Faccio notare che anche i concetti di caldo e di freddo sono antichissimi ma nessuno si sognerebbe di dire che sono desueti, specie se uno si scotta un dito mentre cucina.

Due cose ancora prima di concludere. La prima è che proprio il momento in cui viviamo si sta incaricando di riconfermare l’utilità di distinguere visioni del mondo diverse. Ebbene la difesa dello Stato sociale e la Sanità pubblica, caro Capano, sono categorie oggettivamente di Sinistra. Mi dispiace, è così. Tanto è vero che nei paesi dove la Sinistra non ha alcun peso per curarsi è indispensabile avere una carta di credito o un’assicurazione. Quest’ultima (a parte considerazioni più generali che le risparmio), per chi se la può permettere, può essere uno strumento utile, tranne che nelle pandemie. Non vi è assicurazione infatti che possa garantire una copertura contro simili calamità.

Per quanto riguarda la postfazione di un intellettuale diffusamente molto stimato e amato come Pietro Folena – ringrazio anche lui ancora una volta -, mi pare che aver invocato da parte sua “garanzie, protezioni, istituti che permettono di liberare l’artista dalla totale dipendenza dal mercato”, non sia una colpa troppo grave. Forse gliela possiamo perdonare…

Un’ultima cosa, la ringrazio per l’esortazione ma voglio rassicurarla: io ho molto rispetto anche se sono un marxista (non ortodosso) per la categoria del Pensiero. Una notizia: anche Marx ce l’aveva, infatti era stato allievo di Hegel e polemizzava con il materialismo di Feurbach. Grazie ancora.

Roberto Gramiccia

http://mimesisedizioni.it/se-tutto-e-arte.html

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