CoBrA, la comunità europea degli artisti in fuga dalla realtà del mondo , di Achille Bonito Oliva (RCult, 13-12-2015)

Olie på lærred. 129 x 195,5 cm

«After us, freedom». Dopo di noi, la libertà. Questo è lo slogan che accompagna CoBrA, una grande avanguardia europea ( 1948- 1951), mostra promossa dalla Fondazione Roma a Palazzo Cipolla, fino al 3 aprile 2016. Il gruppo Cobra nasce per iniziativa di artisti come Jorn, Appel, Constant, Corneille, Alechinsky e gli scrittori Dotremont e Noiret con l’intenzione di scardinare ogni modulo linguistico, dall’astrattismo al realismo.

Un gruppo trans-europeo che rompe ogni ordine formale per accedere a una libertà espressiva capace di trasmettere vitalità ed energia creativa. L’artista diventa l’eroe che si autorizza da solo a usare in piena libertà tutte le armi del linguaggio pittorico per consegnare al corpo sociale il deposito di visioni da lui elaborate. Da qui la violenza, non soltanto del segno, necessaria per spostare l’inerzia della sensibilità collettiva fuori da ogni convenzione verso il piano dinamico e inclinato della visionarietà e di una visibile spiritualità.

Una necessaria e felice frammentarietà, riscontrabile in tutte le opere, è il sintomo di una mentalità che non vuole opporre a un ordine un altro ordine. Al contrario essa è il segno di un universo linguistico continuamente aperto e arricchito da una conflittualità permanente, frutto di una sensibilità neoumanistica che vuole ridare centralità all’immaginario.

Begging Children (1948) di Karel Appel, Eine Cobra- Gruppe (1946) di Asger Jorn, Habitant du Desert (1951-1952) di Corneille, Ondes extremes (1974-1979) di Pierre Alechinsky e Christian Dotremont, costituiscono le prove di grande spiritualità individuale e morale degli artisti, nello stesso tempo del bisogno di un sodalizio capace di spostarli fuori da solitudine e isolamento.

La lingua dell’arte è l’unica in grado di formulare parole visive che attraversano ogni differenza etnica e culturale. I modi sono quelli di un linguaggio che accetta ogni contaminazione e vuole colmare ogni scissione. Infatti prevale lo stile della frammentazione, l’alterazione dell’eleganza e del garbo, l’accento forte di una espressione che vuole farsi sentire in tutte le sue lacerazioni. Enfatizzare per questi artisti europei significa compiere una sana operazione di regressione che consiste nel mettere il proprio io al centro di un mondo che ipocritamente sembra voler celebrare il mito collettivo del noi. La forza sta nel non aver posto un io monumentale monolitico, dunque adulto, bensì alterato da tensioni centrifughe che lo spostano fuori dai luoghi della ragionevolezza verso territori abitati dal nervosismo e da una nostalgia primigenia.

Tale nostalgia, confinante col sospetto perduto di una possibile interezza, fonda la sostanza morale di tutti gli artisti del gruppo che non hanno mai spinto i propri furori nella direzione del nichilismo, ma sempre nella rifondazione di una visione, attuata attraverso i modelli del linguaggio creativo. Il delirio espresso dalla loro pittura e grafica è quello di tentare una umanizzazione della società, usare lo stile dell’enfasi per essere ed esistere. Questo comune sentimento della vita elimina ogni distanza geografica, abbatte le frontiere di appartenenza territoriale, come si desume da nome del gruppo. Cobra: acronimo e sintesi delle città di provenienza Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam. Un’an- ticipata comunità europea che accoglie artisti diversi sotto le insegne di un’arte libera e liberatoria, giocata sull’intreccio di astrazione e figurazione.

All’anemia di una realtà inizialmente incolore del secondo dopoguerra, questi artisti rispondono con la rappresentazione di un’altra malattia, quella dell’esuberanza. La temperatura incandescente dell’opera dimostra come l’arte sia un procedimento che, pur adottando proprie regole interne e specifici linguaggi, crea numerosi varchi nella opacità del quotidiano e introduce una nuova visibilità del mondo. La sequenza delle opere in mostra conferma una visione antinaturalistica delle cose, sintomo di una mentalità che non entra in competizione con le apparenze della vita, semmai si pone in completa alternativa, in una contrapposizione radicale ed eclatante.

Uno stato d’ipersensibilità arma la mano degli artisti che prima si inabissano all’interno delle loro pulsioni e poi riemergono nella zona solare della forma e di una materia tattile dove tutto diventa rappresentazione tangibile. Lo stile dell’enfasi dà continuità a tale procedimento, voce e notizia a ciò che altrimenti resterebbe interiore e represso, fondando la possibilità di uno scambio che in caso contrario sarebbe impossibile. Uno stato dionisiaco sfiora l’intera esposizione a testimonianza di una poetica comune, l’uso della creatività che nella sua eccezione altera il ritmo ripetitivo dell’esistenza.

Ravnen (1952) di Asger Jorn, Animals (1953) di Karel Appel, Gilles vegetal (1967) di Pierre Alechinsky e Beest en kind (1960) di Lucebert, Stördo 8.11.1957 (1957) di Karl Otto Götz documentano il bisogno dell’artista di ristabilire una diversa attenzione del mondo su di sé che altrimenti non ci sarebbe. La naturalezza del soggetto viene celebrata attraverso il linguaggio pittorico capace di rappresentare la posizione asimmetrica dell’uomo fuori da ogni verosimiglianza e aperta ad ogni felice conflitto. Per questo l’enfasi della forma, tra materia e colore, diventa il travestimento necessario per evidenziare tutte le istanze e i bisogni di totalità che la vita tende a negare.

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