Alla Biblioteca Vallicelliana di Roma la mostra “Le ali della farfalla”

Redazione Artemagazine

Fino al 14 dicembre una variegata raccolta di piccole opere “da camera” di Marilù Eustachio, Monica Ferrando e Andrea Fogli.

ROMA – Collocate nelle teche della sala  Borromini della Biblioteca Vallicelliana di Roma, sono esposte le piccole opere “da camera” di tre artisti  che da tempo affiancano alla  loro  produzione pittorica  o scultorea  la dimensione più intima e riflessiva del disegno, del taccuino e del diario.

L’originale  mostra, dal titolo Le ali della farfalla”, presenta appunto un nucleo di queste inedite e preziose opere di Marilù Eustachio, Monica Ferrando e Andrea Fogli. Una magnifica festa per gli occhi e per la mente” – la definisce lo scrittore e critico d’arte, Roberto Gramiccia, nel suo testo di presentazione, letto all’opening dell’esposizione.

Si tratta di pagine di diari aperti, epifanie visive racchiuse in piccoli fogli di carta, ma anche omaggi ai maestri più cari, o rivisitazioni di figure e temi della tradizione figurativa, che in punta dei piedi, erranti, leggeri, con un battito d’ali, senza nostalgie, si inseriscono negli spazi della Biblioteca, che sotto la direzione di Paola Paesano, come sottolinea Gramiccia,  rappresenta “un prezioso, sontuoso contenitore di tesori ma, dialetticamente, elabora e produce nuovi tesori, e la mostra  ne è per l’appunto un esempio”.

Facendo riferimento al titolo Gramiccia evidenzia come una delle parole chiave di questa mostra sia “fragilità”. “La farfalla è lo splendido simbolo di questa fragilità ribelle che così bene, e in modo così prezioso, oggi questa mostra ci racconta” rammenta Gramiccia.

L’altra parola che è fulcro di questa esposizione è “disegno”. “Il disegno, così come le parole, sono venuti nel corso degli anni perdendo la loro importanza per vari motivi – sottolinea Gramiccia, aggiungendo –  proporre una mostra di piccole opere da camera, di taccuini e diari percorsi da disegni è oggi un accadimento quasi rivoluzionario. Il fatto che queste opere siano custodite nelle teche di un’antica biblioteca rende ancora di più sediziosa e giacobina l’operazione”. 

Infine, l’ultima parola che definisce l’essenza della mostra è “diario”.  “Il diario per definizione – dichiara Gramiccia – raccoglie le impressioni che si registrano sulle pagine di un taccuino proprio per evitare che il tempo le disperda come foglie o fogli licenziati dal vento”. 

Ecco allora che protagonisti di questa mostra sono  i “Taccuini” di Marilù Eustachio, che l’artista ha cominciato a realizzare nel 1986 con disegni e brevi testi, citazioni di brani di letture amate; con gli studi ispirati alle opere di Tiepolo e Rembrandt; i disegni dedicati alle maschere, tra cui appare anche la testa del Battista tra le mani di Salomè e quella di Medusa del Perseo di Cellini; il ritratto di Matisse dalla serie “Trasmutazioni” del 2003 e un rosso merlettato “cuore tirolese”, omaggio alla sua terra natale. Di Monica Ferrando ci sono invece piccoli olii (autoritratti); un insieme di studi da Poussin a inchiostro sumi;  alcuni disegni a punta d’oro e altri a grafite; alcuni acquerelli in cui si vedono vortici abitati da piccole figure; una serie di taccuini dove si sono depositati  svariati pollini del visibile; un libro a pastelli che illustra, verso per verso, la prima Ecloga di Virgilio.

Infine Andrea Fogli presenta, in un percorso cronologico dagli inizi ad oggi,  una serie di diari e opere su carta, tra cui  una cartella di disegni ad inchiostro di figure femminili ispirate a una poesia di Baudelaire (1982); un libro di Paul Celan  in cui ha realizzato dei piccoli acquerelli  rossi sul testo delle poesie pìù amate (1993);  gli omaggi a Rembrandt, Durer e Hokusai dal “Diario delle ombre” (2000-2006); diari-taccuino e diari-leporello aperti  a fisarmonica, tutti manoscritti e illustrati (2005/2010); santini e cartoline sacre ridipinte a tempera realizzate nell’ultimo anno e appartenenti alla serie “Santini apocrifi” (2005/2018), trasformazioni di figure e temi della pittura religiosa.   

“Le ali della farfalla alla fine sono piene di segni e di colori. E le farfalle, ne sono convinto, prima o poi usciranno dalle teche della Vallicelliana e voleranno libere nella nostra mente trovando rifugio nella nostra memoria. E sarà un buon giorno perché, a differenza di oggi, tutto ci sembrerà possibile” – conclude Gramiccia.


Pubblichiamo la versione integrale del testo critico di Roberto Gramiccia (n.d.r.)

LE ALI DELLA FARFALLA

 

 

Marilù Eustachio, Monica Ferrando e Andrea Fogli sono oggi i protagonisti di una mostra davvero fuori dal comune, una magnifica festa per gli occhi e per la mente e, insieme a loro, è il luogo che li ospita ad essere protagonista.

Parlo della biblioteca Vallicelliana nel suo essere come è e nel suo divenire quotidiano. Grazie alla Direzione di Paola Paesano, infatti, essa non si limita a rappresentare un prezioso, sontuoso contenitore di tesori ma, dialetticamente, elabora e produce nuovi tesori, e la mostra di oggi ne è per l’appunto un esempio.

Ho parlato di un evento fuori del comune e l’ho fatto con cognizione di causa. Proverò ad argomentare questa asserzione, seguendo tre suggestioni fornitemi dal titolo della mostra e da due parole chiavi di questo evento: disegno e diario.

Cominciamo allora con il titolo, Le ali della farfalla, che rinvia alla bellezza ma anche alla fragilità di questi esseri viventi “minimi” ma capaci di sprigionare la potenza di una grazia senza limiti. Ecco una parola chiave per me: fragilità.

Questa parola è stata al centro di una grande mostra di piccole leggerissime carte (simili a farfalle appunto) che oltre 230 artisti hanno realizzato e donato alla Vallicelliana. Opere realizzate per rispondere alla provocazione lanciata da un Manifesto (il Manifesto della fragilità) sul quale non è qui il caso di soffermarsi.

Mi basterà notare che l’idea guida di quell’appello era che la fragilità appare come un dato costitutivo, ontologico, della natura umana. Essa pesa, spesso pesantemente, sulla vita di ciascuno ma carica anche la molla della nostra emancipazione individuale e collettiva.

Senza fragilità non c’è salvezza verrebbe da dire.

Tanto più nel tempo in cui sembrano trionfare l’arroganza e la volgarità del potere, insieme al disprezzo per chi è diverso da noi.

La farfalla è lo splendido simbolo di questa fragilità ribelle che così bene, e in modo così prezioso, oggi questa mostra ci racconta.

La seconda parola è disegno (la gran parte delle opere esposte oggi sono disegni). Più che una tecnica, un vero e proprio linguaggio, di più: un mondo delle cose e dello spirito fuse nella loro dimensione unitaria e inscindibile. Non sono certo io a scoprire l’importanza del disegno nella storia della pittura in particolare, e dell’arte in generale.

Quello che mi preme sottolineare invece è l’originalità quasi sovversiva dei nostri tre autori che mettono al centro della loro ricerca l’insieme dei segni che costruiscono la grammatica e la sintassi di una pratica autoscopica, come la definisce Andrea Fogli. Una cosa cioè che non si limita a descrivere gli oggetti, la natura, i volti ma svela ciò che non è svelabile altrimenti, di sé e degli altri.

Il disegno, così come le parole, sono venuti nel corso degli anni perdendo la loro importanza per vari motivi. Fra i quali decisivi: gli equivoci prodotti in arte da una lettura di Duchamp che lui stesso ha criticato in vita e, ancor di più, l’arroganza di un dispotismo tecnoscientista che pretende di considerare superata persino la pittura, figuriamoci il disegno, della pittura tanto più impalpabile e leggero, appunto come le ali di una farfalla.

Oggi ci sono artisti che non si vergognano ma si vantano di non saper disegnare e molti addetti ai lavori del sistema dell’arte che considerano la pittura una pratica obsoleta. Ecco che proporre una mostra di piccole opere da camera, di taccuini e diari percorsi da disegni è oggi un accadimento quasi rivoluzionario. Il fatto che queste opere siano custodite nelle teche di un’antica biblioteca rende ancora di più sediziosa e giacobina l’operazione.

E infine la parola diario. Una parola che evoca intrinsecamente la nozione del tempo, tempo che oggi ha subito la stessa sorte del disegno. Il diario per definizione raccoglie le impressioni che si registrano sulle pagine di un taccuino proprio per evitare che il tempo le disperda come foglie o fogli licenziati dal vento.

Nel diario si depositano le fragranze delle madalaiene di Marcel Proust. E un diario di artista raccoglie e custodisce le fragranze di una creatività che vola libera da cornici e da custodie. Oggi la memoria telematica rende inutili i diari. E l’ossessione digitale consuma le parole che fanno la fine del disegno. Si perdono nel vento.

E così la nostra società finisce per essere non solo afasica ma aprassica. Incapace, cioè, di dire e incapace di fare. Non saper dire significa anche non saper pensare. E non saper fare significa anche non saper fare arte.

Sono spunti che non possiamo oggi approfondire ma che dicono molto sulla crisi che viviamo, un processo regressivo che con ogni evidenza non travolge solo l’arte.

Ma la realtà, per fortuna, non è solo apocalittica. Lo dimostra anche la resistenza attiva che Marilù Eustachio, Monica Ferrando e Andrea Fogli pongono in essere ormai da molti anni. Si tratta di tre artisti che affiancano alla loro produzione pittorica o scultorea la dimensione più intima e riflessiva del disegno, del taccuino e del diario. Una riflessione che definirei fondativa.

Parte della raccolta oggi proposta è costituita da disegni e schizzi ispirati alle opere di Tiepolo, Poussin, Rembrand, Goya e di altri maestri, diretta testimonianza del dialogo con una tradizione iconografica e pittorica che non è solo “reperto” ma oggetto vivo di trasformazione e innovazione.

Non mancano i ritratti e gli autoritratti a popolare le province delle fantasie oniriche dei tre autori. Come non mancano modalità espressive diverse dal disegno: l’olio o l’uso dell’inchiostro sumi utilizzato da Monica Ferrando, o le annotazioni di brani di letture amate di Marilù Eustachio, o i “santini apocrifi” ridipinti a tempera di Andrea Fogli.

Le ali della farfalla alla fine sono piene di segni e di colori. E le farfalle, ne sono convinto, prima o poi usciranno dalle teche della Vallicelliana e voleranno libere nella nostra mente trovando rifugio nella nostra memoria. E sarà un buon giorno perché, a differenza di oggi, tutto ci sembrerà possibile.

 

Roberto Gramiccia,

testo di presentazione letto all’opening

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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