Scusaci Luis!

 

Ieri, sul sito del noto Tgcom 24 di Mediaset e in condivisione su tutti i social campeggiava la notizia: “Coronavirus: morto Luis Sepúlveda, autore di Cent’anni di solitudine”. Sgomento! Ma cos’è più indegno? L’errore imperdonabile dell’autore della notizia? (Cent’anni di solitudine è il romanzo più noto di Gabriel Garcia Marquez) o il fatto che l’editore non se ne sia accorto prima che qualche lettore più attento lo facesse?

La riflessione collettiva dovrebbe essere all’altezza della gravità del fatto. Bisognerebbe scandagliare non tanto l’accaduto di cronaca bensì le ragioni di un così macroscopico errore, per giunta il giorno della scomparsa del grande scrittore e militante cileno. Insomma, fare quello che avrebbe fatto Tullio De Mauro. Registrare l’ennesimo caso di grave incultura, figlio dei chiaroscuri (più scuri che chiari) dei nostri tempi.

Le ragioni sono le stesse che si celano attorno alla non casuale “correzione di memoria” per cui l’11 settembre, per le ultime generazioni, rammenterà sempre e solo il crollo delle torri gemelle del 2001e tralascerà, colpevolmente, la morte ingrata del grande Salvador Allende, avvenuta lo stesso giorno del 1973, durante il sanguinoso golpe militare di Pinochet. Perché è cosi, la memoria storica che tesse il filo del senso comune non è mai casuale né neutrale, ma è il prodotto di un disegno per lo più politico di orientamento del consenso.

Fatta la dovuta premessa di cronaca, ci sforzeremo di rendere un omaggio più degno al grande scrittore cileno che il coronavirus si è portato via all’età di 71 anni, dopo una dolorosa agonia nella sua casa di Oviedo, in Spagna. Torniamo al 1973. L’11 settembre Sepúlveda era in prima linea fra i GAP, la guardia personale del presidente Allende, appostato in una centrale idroelettrica mentre i golpisti bombardavano il Palacio de la Moneda. Fu allora che Sepulveda abbandonò la sua postazione per raggiungere e difendere personalmente Allende. Fu arrestato, sottoposto a tortura, recluso in una cella dove a malapena poteva stare in piedi. Condannato prima all’ergastolo, poi con una riduzione di pena da 28 a 8 anni di esilio, che si sono prolungati fino alla fine della dittatura di Pinochet nel 1990. Questo grazie all’intervento di Amnesty International. Si scoprì apolide essendo statagli negata la cittadinanza cilena, che gli fu “riconsegnata”, per mano del console cileno in Spagna, solo nel 2017, tre anni prima di morire.

Storie ribelli, La fine della storia e altri racconti recenti (tradotti in italiano per i tipi di “Guanda”) tornano tutti a quell’11 settembre. Allora Sepúlveda era un giovane militante del Partito socialista cileno, studente di Teatro (ispirato da figure come Dario Fo e Giorgio Strehler), protagonista, insieme agli altri studenti e cittadini cileni, del grande sogno di emancipazione del Governo dell’Unità Popolare guidato da Salvador Allende. Tre anni prima, il 4 settembre del 1970, assistette al primo discorso del suo Presidente non dal Parlamento, non dalla sede del Partito Socialista cileno bensì dalla vecchia casa della Federazione degli Studenti del Cile. Era il gesto simbolico del compagno Allende per ringraziare formalmente gli studenti per aver condotto, insieme agli altri cileni, un grande processo di trasformazione della società, che marchia a fuoco la storia del Cile.

La vicenda, letteraria e personale, di Sepúlveda si intreccia e si confonde con le trame dei sui capolavori, come il suo primo Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, del 1989. Hemingway, Salgari, Melville sembrano i maestri, quelli di una scrittura di viaggio e di avventura, un po’ immaginato un po’ effettivamente vissuto, raccontato con un realismo che conquista il lettore. Una scrittura che taglia a punta di coltello la carne delle sue storie, incentrate sul rapporto fra uomo, storia e natura. Accanto all’impegno politico, per Sepúlveda c’è quello ecologista. Alla fine degli anni Settanta egli si unì a una spedizione dell’UNESCO, per studiare l’impatto della civiltà occidentale sugli Indios Shuar. Visse in Amazzonia e, dall’82 fino all’87, sarà membro dell’equipaggio delle navi di Greenpeace.

Ci saranno poi La frontiera scomparsa, Patagonia express, fino alla Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, in forma di favola animale dall’afflato politico universale, considerato un capolavoro della letteratura. Alla la fine degli anni Settanta e Ottanta risalgono le opere teatrali, scritte in giro per l’Europa. Lo spazio scenico dei suoi romanzi prende vita sul palco grazie alla sua regia. Ma è soprattutto con la parola scritta che il maestro cileno ci racconta di lotta, resistenza, vita, natura e morte con un entusiasmo che non si vergogna di apparire e di essere romantico.

Noi gli diciamo addio, sicuri che lui, giovane studente commosso all’ascolto del primo comizio di Allende, e i suoi compagni, non avrebbero mai confuso Dante con Boccaccio…

Scusaci Luis, ti vogliamo bene.

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