“Prima viene l’uomo, poi il sistema”. Il nostro saluto a GERMANO CELANT

di Valentina Gramiccia

 

«Io non ho inventato niente», così replicava Germano Celant quando veniva definito l’ideatore dell’Arte Povera, la neoavanguardia italiana che dalla fine degli anni ’60 ha conquistato il mondo. Quando un movimento artistico-culturale prende vita dalla vita non crea un bel niente, piuttosto nasce, cresce, si esprime, interviene, agisce, scombina, sovverte, semplicemente esiste dentro la storia.

«Prima viene l’uomo, poi il sistema, anticamente era cosi. Oggi è la società a produrre e l’uomo a consumare (…)». Così esordisce Celant nel suo Manifesto del 1969. Arte Povera. Appunti per una guerriglia è il titolo, dal quale già si intuiva che si sarebbe dovuto combattere con le “armi del linguaggio” per ribaltare il punto di vista sull’arte.

Prima di allora il mercato dell’arte “produceva” l’artista che nella sua dimensione subalterna realizzava opere come merce (pensiamo alla Pop Art…). Marxianamente, Celant opera un rivoluzionario ribaltamento, rimettendo l’uomo-artista al centro. Come Marx si sforzò di fare con Hegel, rimettendo “in piedi” l’idealismo dialettico col materialismo storico, così Celant raddrizza l’uomo (artista) che rischiava di essere inghiottito dai gorghi della società del consumo e dello spettacolo.

Così l’ago della bilancia si sposta sul rapporto Uomo-natura (non più Uomo-mercato). E ci saranno proprio i sacchi di grano di Jannis Kounellis, gli Igloo di Mario Merz, gli stracci di Michelangelo Pistoletto, il cemento di Alighiero Boetti sparsi nelle sale della Kunsthalle di Berna in occasione di una mostra storica, When attitudes becomes form, per la cura di Harald Szeemann nel 1969. E Celant già due anni prima, presso la Galleria La Bertesca di Genova, aveva presentato al mondo i “poveristi” che sarebbero stati i protagonisti assoluti dell’arte del ’68 italiana ed internazionale.

Il giovane dalla folta capigliatura e di nero vestito, con fare esistenzialista, ottiene in quegli anni la direzione del Museo Sperimentale di Genova e della rivista Marcatré, dove scriveranno Eco e Sanguineti. Sono gli anni in cui si esprime con un approccio curatoriale antiprogrammatico, vitalistico e una spiccata aspirazione internazionalistica, nutrita da continui viaggi e dalla vocazione a battersi contro la mercificazione dell’arte.

Ci saranno presto le grandi mostre al Centre Pompidou di Parigi (Identité Italienne, del 1981), al Guggenheim di New York, di cui fu senior curator dal 1989 al 2008 (ricordiamo Italian metamorphosis 1943-1968, del 1994) e poi Palazzo Grassi a Venezia, La Royal Academy of Arts di Londra. Il 1997 è l’anno della Direzione della Biennale di Venezia, con la mostra Futuro, Presente, Passato e la partecipazione di 67 artisti internazionali.

Firma di spicco della Rubrica “Arte” de L’Espresso, dopo aver curato la grande mostra genovese Arti&Architetture, nel 2004 Celant ottiene la curatela della Fondazione Vedova a Venezia e la prestigiosa direzione artistica della Fondazione Prada a Milano, fino alla sua morte a causa del covid-19, due giorni fa, all’età di 80 anni.

Si è chiusa solo pochi mesi fa, presso Ca’ Corner della Regina, sede della Fondazione Prada a Venezia,  l’ultima mostra di Celant dedicata al lavoro di Jannis Kounellis, la prima grande retrospettiva dedicata al poverista greco dopo la sua morte, avvenuta nel 2017. Tutto finisce come è iniziato e con chi è iniziato… Cala il sipario. Ma stavolta c’è il rimpianto legato al fatto che questa morte illustre, come milioni di altre, potevano essere evitate. “Perché prima viene l’uomo e poi il sistema…” un sistema che è ormai giunto al capolinea.

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