LUCILLA CATANIA. L’esperienza della scultura

“Arte e Critica 93”, Giulia Del Papa

La storia prende avvio a Roma all’inizio degli anni Ottanta, dentro quel clima che tornava ad interrogarsi sull’opera e a concepirla come oggetto tangibile, segnando una rottura con la stagione precedente.

In quel momento sembrava che la scultura vivesse un’impasse, ma Lucilla Catania scelse comunque di confrontarsi con questo linguaggio. La scelta di fare scultura in quanto donna, come emerge dai suoi racconti, le causò un’iniziale difficoltà ad integrarsi nel tessuto artistico romano, dove varie compagini dominavano la scena, ma questa situa- zione ad un certo momento diventò un punto di forza che la portò a decidere di intraprendere un percorso autonomo, svincolandosi dalle logiche dominanti.

Sceglie come materiali la pietra e la terracotta, questo significa che si deve confrontare con metodi di lavorazione tradizionali ma altresì comporta eleggere a propri maestri figure come Brancusi, Arp, Viani, piuttosto che altri in voga in quegli anni. L’importanza della materia, la ricerca di forme assolute, l’attenzione alla lavorazione dei materiali diventano dunque la sua cifra, insieme a quella volontà di far rivivere un mito umanistico attraverso forme astratte, pure ed essenziali. Come lei stessa afferma, in Brancusi ammira la rivoluzionaria visione della base nella scultura in un’ottica di antimonumentalità, non più oggetto esterno ma parte integrante dell’opera. In Arp e Viani guarda invece all’essenzialità della forma, la scultura che presenta sé stessa senza il bisogno di letture narrative o descrittive.

La coerenza del suo percorso è chiara già dal 1991, anno in cui pubblica Fondazione di una Nuova Classicità per l’Arte Contemporanea, dove definisce l’origine e la fisionomia della sua poetica. Riconosce in quel momento stori- co la possibilità di creare un nuovo linguaggio, in cui forma e spazio sono gli elementi essenziali dell’opera e l’esperienza del passato non è un peso, ma ricchezza cui attingere. L’idea di classicità si sostanzia nel continuo tentativo di rinnovamento del linguaggio plastico, attraverso il lavoro sulla tridimensionalità e il rapporto con la materia, la forma, il volume.
“La mia idea di classicità va nel senso di un potenziamento del linguaggio dell’arte inteso nei suoi elementi costitutivi e fondanti di forma, materia e spazio, filtrato, però, dalla griglia di una consapevolezza esistenziale generata dal pensiero contemporaneo e dalle nuove conoscenze che l’uomo ha acquisito su di sé e sul mondo. […] In Arte la Classicità, così come io la intendo e vivo, non è solo una scelta poetica; corrisponde più a una dimensione interiore, a una idealità insita all’uomo stesso, che non a un linguaggio specifico o a una tendenza determinata”.

Anche per questo motivo la sua non è scultura astratta, ma aniconica nel fatto stesso di voler rappresentare l’essenza e l’idea degli oggetti a cui si ispira.

Nella sua ultima personale al Museo Bilotti (InMateriale, 2017), conferma nuovamente i presupposti iniziali della sua ricerca. Le opere rappresentano una summa delle esperienze vissute nei decenni precedenti, durante i qua- li a cicli alterni l’artista ha cercato di rinnovare forme e modi all’interno del concetto di scultura. Il marmo e la terracotta sono i materiali che utilizza sia per le sculture monumentali monoblocco sia per quelle realizzate mediante l’accumulo di elementi scultorei singoli; esse prendono forma direttamente negli spazi del museo, attivando un dialogo esplicito con il passato, a corollario di quell’idea secondo la quale nell’arte non c’è linearità temporale ma circolarità, all’interno della quale l’artista, per sua propria natura, deve essere libero di muoversi.

Sono proprio le opere presenti in quella mostra a costituire il nucleo fondativo di un progetto recente, Sculture in Campo, che pur nella dimensione estesa (in termini sia spaziali che di relazione), potremmo considerare come una sua opera. Si tratta di un parco di scultura all’aperto ove accanto alle sue opere si stanno via via affiancando opere di altri artisti: un luogo della contemporaneità, immerso nella Natura, inserito in un continuum spazio-temporale. In linea con le precedenti esperienze di carattere ambientale, la creazione di questo luogo nasce dal desiderio di restituire una centralità alla scultura che, secondo Catania, sembra vivere di nuovo una fase di smarrimento.

Inaugurato nel settembre 2017, il progetto ha visto il sostegno del Comune di Bassano in Teverina che ne ha condiviso il voler coniugare la dimensione storico-naturalistica e paesaggistica con l’arte contemporanea attraverso la realizzazione di un percorso unitario che coinvolga l’intera area, grazie anche alla collaborazione con il Gruppo Archeologico Bassanese. I curatori Alberto Dambruoso e Roberto Gramiccia hanno delineato i tratti salienti dell’idea: inserendosi in un territorio vicino a realtà come il Parco della Serpara di Paul Wiedmer o quello di Daniel Spoerri sul Monte Amiata, è importante sottolineare la connotazione sociale di questo progetto, sia per la volontà di recuperare il rapporto tra arte, natura e territorio, sia per la sua lontananza da scopi commerciali. In opposizione all’ipercomunicazione mediale e alle logiche di marketing che caratterizzano questo momento storico, Sculture in Campo si pone in continuità con l’idea della storia quale strumento di trasmissione del sapere e dell’arte. Inoltre, per il suo carattere di straordinaria gratuità, si pone l’obiettivo di favorire la fruibilità collettiva aggregando pubblici diversi.
I primi artisti a condividere con la scultrice romana la partecipazione a questo progetto sono stati Francesca Tulli, Luigi Puxeddu e Alberto Timossi, posizionando una propria opera nel parco. La specificità della ricerca di ciascuno, di tipo astratto per Timossi, figurativo per Puxeddu e Tulli, trova una propria armonia con lo spazio in un dialogo serrato sia con i segni del Parco che con la natura circostante.

Per un’artista le cui opere nascono con la medesima semplicità dei processi naturali e, seppur nelle grandi dimensioni, tendono a tornare al terreno in un’orizzontale che nega qualsiasi forma di monumentalità, voler lasciare una testimonianza nel luogo in cui la natura è padrona in tutte le sue forme risulta in linea con la ricerca di una vita. A questo si unisce la volontà, altrettanto forte e mai sopita, di ragionare sulla necessità e la centralità della scultura, condividendo questa prospettiva con artisti che riflettono sullo stesso bisogno, e condividono l’urgenza di una struttura vocata al territorio e aperta al pubblico nelle immediate vicinanze di una città come Roma.

http://www.arteecritica.it

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