“Un’avventura europea. Il colore da Seurat a Mondrian”, di Anna de Fazio Siciliano

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La mostra di Verona “Seurat, Van Gogh, Mondrian. Il postimpressionismo in Europa” racconta la storia dei colori a partire dal XVIII secolo fino al ‘900 con l’arte astratta di Mondrian. Ma non solo, tiene anche conto dell’eco che l’invenzione del colore industriale ha avuto al di là della Francia dove è nato.

L’avventura del colore

Il percorso dei colori usati dagli artisti parte da molto lontano, ma è a cavallo tra XVIII e XIX secolo che si verifica una svolta, una vera e propria rivoluzione. Grazie alle invenzioni degli impressionisti che poi, in pieno ‘900 avranno ampio seguito, si inizia a sentire l’esigenza di colori adatti a una pittura adesso più brillante. La nuova domanda va ad ingrossare le file delle industrie chimiche che mettono finalmente in commercio nuovi pigmenti sintetici. L’indaco e il violetto di cobalto, il giallo di zinco e l’arancio cromo sono alcuni dei primi esperimenti di colore industriale. In questo clima di aperture e innovazioni, anche i Neoimpressionisti, molti dei quali ospiti alla mostra della Gran Guardia di Verona fino al 13 marzo, accolgono i nuovi colori perché più saturi dei tradizionali e soprattutto perché mettono in circolazione nuove tinte per la loro tavolozza. Questa nuova libertà cromatica però è subito minata dalla sua stessa instabilità, dovuta sia a proprietà chimiche dei nuovi pigmenti sia a frodi deliberate di mercanti che utilizzano materiali scadenti. E per ovviare questa difficoltà, alcuni pittori iniziano a sperimentare modalità originali e in più, cercano di instaurare rapporti più stretti coi mercanti. Sappiamo, per esempio, che un certo Julien Tanguy, gestore di un piccolo negozio a Montmartre, prepara i colori su ordinazione nientemeno che a Pissarro e Cezanne, e che più tardi macina i pigmenti con una grana più grossa perché è così che Van Gogh li pretende!

Ma quali sono questi nuovi colori? E quali le loro caratteristiche?

Una tinta indispensabile, ad esempio, sulla tavolozza di qualsiasi pittore nel XVIII secolo, è il giallo di Napoli che corrisponde a un giallo caldo chiaro. Il bellissimo blu di Prussia lo ritroviamo spesso nei quadri di Monet, Van Gogh e più tardi in quelli del periodo Blu di Picasso. Il verde di Scheele viene inventato nel 1775 e nel 1800 il bianco di zinco nasce per sostituire il bianco di piombo che era tossico. Ciononostante è poco utilizzato perché costoso e poco coprente. Anche il giallo di zinco è poco resistente alla luce e poco stabile, ma viene utilizzato da Seurat per l’olio della “Grande Jatte” di Chicago. Per ottenere in modo artificiale e quindi più economico il costosissimo blu oltremare ci si inventa di tutto e una società francese offre persino un premio per trovarne la ricetta. L’azzurro ceruleo nato nel 1860, viene utilizzato da Signac per esempio ne “L’ingresso del porto di Marsiglia” benché sia ormai risaputo che non è affatto un colore stabile.

La divisione dei colori sulla tela

Ma la retrospettiva veronese segue anche l’itinerario della divisione dei colori sulla tela. Eseguito per la prima volta in modo convincente da Georges Seurat in “Una domenica pomeriggio nell’isola della Grande Jatte, il divisionismo diventerà la base della successiva evoluzione dell’arte moderna in Occidente. Per il tramite di Paul Signac, infatti la divisione seuratiana del colore è collegata a quella di Piet Mondrian che introduce la superficie monocromatica come elemento visivo autonomo e forse sarà preso a modello da Yves Klein! È a partire da Seurat e dagli artisti intorno a lui che si fa un grosso salto avanti nella storia dell’arte: si mette in pratica la tecnica pointilliste, ovvero l’uso dei colori non mescolati, gli effetti dei colori complementari e il simbolismo delle linee. E se anche, come sostiene Stefano Zuffi, curatore della mostra, “ogni rivoluzione, col passare del tempo, esaurisce la sua portata innovativa” essa stessa viene “riassorbita dal flusso della storia”. Non a caso è quanto avviene anche per l’impressionismo: dalla prima mostra, nello studio di Nadar, nel 1874, all’ottava e ultima passano dodici anni di capolavori e di cambiamenti. Nel 1886, la monumentale tela di Seurat, la Grande Jatte, diviene immediatamente celebre e futuro canone artistico.

La Grande Jatte di Seurat

Di dimensioni ambiziose (2 x 3 m) il dipinto è il pezzo forte della mostra a Parigi e non a Verona. Quest’opera “scientifica” rappresenta un radicale cambiamento nel modo di dipingere, perché i post-impressionisti si sbarazzano in parte delle tecniche degli impressionisti, le rinnovano, trasformando i loro “felici accidenti” in un modo più coerente e preciso. La creazione della grande Jatte è stata un’operazione pionieristica, durata due anni, più che un quadro era un progetto!

Perché è un’opera rivoluzionaria?

Perché adesso gli artisti non più soddisfatti di opere che si basano sull’osservazione e l’istinto, prediligono una pittura ispirata al romanzo verista, al metodo di Zola per intenderci. Questa esigenza di precisione scientifica guadagna sempre più terreno a scapito di una pittura d’istinto, d’impressione. Gli artisti, così, si tengono aggiornati, fornendo risposte artistiche a contenuti culturali, più precisamente alle scoperte sul colore e sugli studi sull’ottica, stando così sempre a passo coi tempi.

L’inizio: sbarazzarsi del contorno

È grazie al soggiorno parigino di Seurat (periodo in cui inizia a elaborare un particolare stile grafico, caratterizzato da una totale assenza della linea) che si sperimenta e si avvia una pittura del tutto stravagante. Ma prima che questo accada, prima di cimentarsi in quella che sarà la pittura divisionista che non possiede contorni, deve sbarazzarsi della linea.

Nuovo e antico

Pur restando fedeli alla luce degli impressionisti, questa nuova generazione ne cerca gli effetti e introduce una nuova attenzione, tutta proiettata verso il tempo atmosferico. Non a caso si recano all’aperto per studiare i cambiamenti delle condizioni metereologiche. Le mete preferite? Le belle coste della Normandia e del Pas-de-Calais.

“Ingresso del porto di Honfleur”

Dove Seurat riesce meglio a cogliere le sfumature dell’atmosfera è nell’olio “Ingresso del porto di Honfleur” (1886). Pur essendo precisamente descritto, il paesaggio è un po’ nebbioso, quasi come se ci fosse una coltre di particelle, di minute goccioline d’aria che si avvicinano all’effetto sfuocato di Leonardo. Ma qui la tonalità di grigio che scaturisce dal quadro è dovuta al fatto che Seurat dipinge direttamente sulla tela non preparata anziché usare uno strato bianco per il fondo come facevano gli impressionisti.

L’eredità

“L’eredità di Seurat è più che la semplice somma delle sue opere: egli ha ispirato generazioni di artisti a venire” (L. Heenk). Nell’ambito degli sviluppi del movimento divisionista molti pittori nel corso del tempo assimilano contenuti e temi. Paul Signac, per esempio, è affascinato dai contrasti forti dei colori come blu-giallo o arancione-verde ma anche dalla pittura inglese, sopra tutti Turner. Nella muta “Sala da pranzo” (1886-7) non c’è nessuna comunicazione tra i personaggi ma ciononostante, l’effetto che sortisce è di pacata tranquillità domestica. I quadri di Jean Metzinger (in mostra c’è il “Tramonto” del 1906-07) hanno quasi un effetto di mosaico e forse per via della sua vicinanza al Cubismo. Metzinger compone con tessere isolate l’una all’altra, in rigidi cubi separati nonostante i soggetti siano paesaggi e marine. Maurice Denis al contrario predilige la linea curva dell’arabesco. Intrisi di misticismo “I vespri all’ospedale” del 1890, rifiutano il naturalismo come gli altri pittori della confraternita dei Nabis. Cross ha un ruolo fondamentale perché introduce Matisse al divisionismo. La sua migliore opera in mostra è un paesaggio di Venezia del 1903-05: “Ponte San Trovaso”. Van Gogh rimane colpito soprattutto dalla legge di Chevreul sui colori complementari (con la giustapposizione dei colori si ottiene il massimo contrasto in termini di brillantezza e tonalità). All’inizio delle sue sperimentazioni ritrae la vita dei contadini e la scelta cromatica è ancora piuttosto cupa. Quando guarda agli esiti della Scuola dell’Aja e di Barbizon, si mette in direzione della pittura moderna. Il processo di assimilazione però è molto lento e nonostante Van Gogh sia davvero interessato a diventare un pittore all’avanguardia e quindi più vendibile solo dal 1887, dopo aver visitato la mostra al Salon des Indépendants si nota una chiara influenza divisionista nell’uso dei trattini e linee parallele. Ma la tecnica del pointillisme non piacerà mai troppo a Van Gogh perché è una pittura troppo paziente, troppo lenta per il suo temperamento impetuoso.

L’eredità in Belgio e in Olanda

Mentre la popolarità del divisionismo, alla morte di Seurat (1891) declina pesantemente nella sua terra d’origine, esso si estende oltre i confini francesi, con Van Rysselberghe (in mostra l’olio “Boulogne-sur-Mer” e la bella odalisca del “Raggio di sole”) Lemmen, Van de Velde (“Crepuscolo”), J. Toorop (“Mare”), J. T. Prikker (in mostra la bella “Madonna dei tulipani”), Bremmer, Sluijters, Gestel.

L’estrema conclusione: Piet Mondrian

Con Mondrian il divisionismo si riduce ad estrema sintesi, segnando il passaggio da un’arte figurativa a una astratta. Gli elementi visivi ridotti in forma pura diventano per Mondrian (ad esempio in “Composizione con rosso, giallo e blu” del 1928) solo colori primari e linee perpendicolari. Via l’indaco, il violetto di cobalto e i pigmenti antichi. Via pure le figure, le marine e i paesaggi. Frammentando la realtà con la sua pittura Mondrian si spinge a cercare l’essenza delle cose attraverso un processo di smaterializzazione. Davvero un bel salto avanti dalla “domenica sulla Grande Jatte”!

 

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