“Officina Paradiso”, di Nicola Lagioia (La Repubblica, 3 settembre 2017)

«Ecco, questo dà l’idea di come un tempo qui il lavoro fosse considerato alla stregua di una pratica religiosa».

A parlare è Nicola Ricciardi, direttore artistico delle Officine Grandi Riparazioni, l’ex complesso industriale che potrebbe diventare il più grosso polo dedicato a innovazione e creatività in Italia, nonché tra i più importanti a livello continentale. Siamo a Torino, quartiere Cenisia, a pochi passi dal Politecnico, in uno spazio che – per forma e severità – avrebbe tutta l’aria di una chiesa romanica. Invece qui un tempo si verniciavano le locomotive. I bei depositi di rosso e giallo sulle pareti di mattoni sono puro espressionismo astratto in chiave metallurgica, un buon viatico per il cambio di destinazione visto che a breve nel complesso inizieranno a transitare i più importanti artisti attivi sulla piazza internazionale, e musicisti, coreografi, perfomers, registi, ai quali basterà affacciarsi sull’altro capo della struttura per incontrare il mondo delle giovani startup rimescolate coi colossi della Silicon Valley che hanno scelto Torino come osservatorio sul Vecchio Continente. Vi piacciono i Chemical Brothers? Arriveranno tra poche settimane alle Ogr, nello stesso luogo in cui potrete fare colazione, pranzo e cena, trovare una postazione per il coworking, aggirarvi tra le opere di William Kentridge, incontrare un manipolo di giovani informatici che lavora a una startup su cui ha messo gli occhi una major californiana che sta anche offrendo la propria consulenza per il visual live di un imminente concerto di musica elettronica. Tutto sotto lo stesso (gigantesco) tetto. Il “Duomo”, come alle Ogr chiamano l’ex centro di verniciatura, è solo il cuore di una titanica struttura a forma di H che copre ventimila metri quadri, esterni esclusi (l’equivalente di 52 campi da tennis), e alta più o meno come un palazzo di cinque piani.

Se Torino voleva un posto che ben simboleggiasse i cambiamenti degli ultimi anni, forse l’ha trovato. Dopo il trasferimento della Fiat all’estero, la città simbolo del novecento industriale ha puntato sulle risorse che meglio potrebbero rappresentare il XXI secolo, perlomeno a queste latitudini: l’economia leggera legata a cibo, arte, sport, cinema, musica, editoria. Le Ogr hanno subìto un destino simile. Nate qualche anno prima della Fiat, sono state il luogo in cui nella regione si riparavano i veicoli ferroviari. Negli anni Novanta del Novecento il complesso smette di funzionare. Lo stato d’abbandono lo trasforma in un ricovero per senzatetto ma anche in un centro d’attrazione per i protagonisti della controcultura del momento: quella legata ai rave party. Nel 2008 la Fondazione bancaria Crt rileva le Officine dalle Ferrovie dello Stato, le cede alla città di Torino in cambio di un diritto di superficie di 99 anni. Con l’allora sindaco della città Sergio Chiamparino si decide di ospitare alle Ogr tre grandi mostre per i 150 anni dell’Unità d’Italia. La manifestazione è un successo oltre le aspettative. In quel momento diventa chiaro come il futuro possa nascere dall’esoscheletro dell’archeologia industriale. La Fondazione Crt annuncia un investimento di 90 milioni di euro per trasformare il vecchio edificio in un avamposto sul futuro dove ricerca scientifica, arte, cultura (anche culinaria) si parlino continuamente favorendo, si spera, la crescita di tutto territorio. Un braccio della grande H è dedicato alla creatività, l’altro all’innovazione tecnologica, con il transetto destinato alla ristorazione. All’esterno un’area di quindicimila metri quadri dove pure verranno allestite mostre e spettacoli. Il segretario generale di Fondazione Crt Massimo Lapucci (a capo del progetto col presidente Giovanni Quaglia) ha scelto per la direzione artistica Nicola Ricciardi, classe 1985, studi a Berkeley, curatele importanti alle spalle. «Su una cosa Lapucci si è raccomandato: per carità, mi ha detto, non facciamone un museo!», dice Ricciardi mentre il nostro sguardo copre i duecento metri – tutti a vista – che separano i capi opposti dei capannoni. «Nel senso che le Ogr dovranno essere un laboratorio e non una vetrina?». «E anche nel senso che dovranno stare sempre in movimento. Chi ci viene oggi, tra due settimane dovrà già trovare una situazione diversa».

Per abituare i torinesi al “nuovo” spazio, si è deciso di iniziare col botto. Il 30 settembre le Ogr aprono i battenti con quel che chiamano “Big Bang”: due settimane durante le quali l’accesso a mostre, concerti, spettacoli, sarà completamente gratuito. Si comincia con un live di Giorgio Moroder, e poi tra gli altri arriveranno Elisa, Danny L Harle, Atomic Bomb!, Chemical Brothers. Gli spazi esterni ospiteranno un’installazione di William Kentridge. A novembre arriveranno i Kraftwerk, quattro sere di concerto in cui ripercorreranno tutta la loro carriera. “Come una falena alla fiamma” è il grande progetto espositivo che, finito il “Big Bang”, inaugurerà la stagione ufficiale delle mostre: Tom Eccles (direttore del Bard College di New York), Mark Rappolt (redattore capo di ArtReview) e l’artista britannico Liam Gillick mescoleranno arte antica e moderna collaborando con le istituzioni del posto come il Museo Egizio, il Museo d’Arte Orientale, Palazzo Madama, il Castello di Rivoli, il Museo d’Arte Contemporanea, insieme alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Torino vista da fuori è sempre una buona idea, perché questa città ha mille pregi ma a volte corre il rischio di non metterli del tutto a frutto per troppa endogamia. «Lo stesso Liam Gillick», mi annuncia a sorpresa Nicola Ricciardi (questo non lo trovate nel programma ufficiale), «collaborerà con i New Order, che suoneranno qui il 6 e il 7 dicembre».

Tra gli italiani (altra anteprima), al regista Davide Ferrario è stato affidato un progetto per leggere il territorio da una prospettiva particolare. Ferrario ha distribuito degli smartphone a un gruppo di richiedenti asilo che vivono a Pecetto Torinese, e poi gli ha chiesto di documentare la loro vita in Italia. «Dopo le prime riprese», racconta Ricciardi, «ci siamo accorti che, a differenza di come faremmo noi, i migranti riprendevano ogni evento da molto lontano. In pratica, avevano paura di avvicinarsi».

Dopo un quarto d’ora di camminata siamo di nuovo nel punto centrale del complesso. «A dicembre qui arrivano quelli di TeamLab e ci rimangono tre anni», dice allora Ricciardi indicando un grande spazio bianco. TeamLab è un collettivo di artisti, programmatori, ingegneri e designers attivi in tutto il mondo. Nati a Tokyo, sono quelli che all’Expo milanese hanno riempito gli occhi di chi ha visitato il Padiglione giapponese. Alle Ogr avranno il proprio ufficio (il primo in Europa), mentre sul lato opposto cureranno un’area destinata ai più piccoli. «In questo spazio i bambini disegneranno.

Consegneranno i disegni a quelli di TeamLab e loro li animeranno sul momento facendoli diventare parte di uno spettacolo di arte immersiva».

Per farsi capire meglio, Ricciardi mi mostra una preview sul tablet.

Quello che vedo è impressionante. Stacco gli occhi dallo schermo e sono impressionanti le tonnellate di mattoni, acciaio, serramenti, vetrate e fibre ottiche da cui siamo sovrastati e che presto apparterranno a tutti. Se le Ogr funzioneranno davvero – eccellente programma artistico a parte – lo capiremo in pochi anni. I presupposti (per una volta anche gli investimenti) ci sono. In città come Berlino o Amsterdam la riconversione delle ex aree industriali in distretti creativo/tecnologici ha dato risultati. Torino potrebbe essere una buona rampa di lancio. È un esempio quasi unico in Italia per etica del lavoro, saper fare, e senso di comunità. Scherzando dico spesso che la città è a metà strada tra Cuneo e Seattle, visto come (non senza rovelli) si trova a far convivere provincia, avanguardia e cosmopolitismo. E se un orgoglio non comune l’ha protetta saggiamente negli ultimi anni, esercitarsi a una maggiore apertura potrebbe adesso essere la condizione per decollare davvero.

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