Maam, l’ex fabbrica atelier modello dei giovani artisti, di Arianna di Cori (La Repubblica, 30 ottobre 2016)

In un luogo come il Maam, dove il paradosso è di casa, la visita da parte dell’assessore alla crescita culturale Luca Bergamo non può che aggiungere elementi di riflessione, ma anche di contraddizione, sulle sorti del museo più underground di Roma. A 4 anni dalla sua nascita infatti, il Museo dell’Altro e dell’Altrove – sito nell’ex fabbrica Fiorucci su via Prenestina e creato dall’antropologo Giorgio De Finis come una “barricata d’arte” a difesa dell’occupazione abitativa che dal 2009 vi risiede – è conosciuto in tutto il mondo (è stato persino presentato alla Tate) ma è al contempo un museo abusivo, in perenne rischio di sgombero.

È la prima volta che una figura istituzionale visita la suggestiva fabbrica e le sue 500 opere, tra installazioni di Giovanni Albanese e di Iginio de Luca e murales dei più noti street artist come Sten & Lex e Borondo. Addirittura, nel 2015 il Maam ospitò per un breve periodo la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto.

“Nei musei normalmente si passa, mentre qui le persone ci vivono, e questo potrebbe essere da esempio nella gestione di altri spazi della cultura capitolina”, afferma l’assessore vestito in jeans e felpa con cappuccio, che si è trattenuto per oltre due ore tra circa 200 presenti, contribuendo alla creazione di un’opera d’arte fatta da calchi di dita (ha prestato il suo mignolo) e leggendo, in una performance estemporanea, alcuni stralci della dichiarazione dei diritti umani.

Il Maam non è il primo luogo industriale romano che grazie alla presenza di artisti ha acquisito nuova vita. Pensiamo al Pastificio Cerere che dagli anni ’70 divenne il cuore pulsante della Scuola di San Lorenzo o all’ex dogana in via Arimondi al Portonaccio, che purtroppo oggi è stata abbandonata dagli 11 atelier che la popolavano. “Il polo del contemporaneo a Roma deve assumere una parte di questo posto”, dice l’assessore, attento però a non sbilanciarsi. “Non mi riferisco al luogo fisico della fabbrica, il cui futuro è molto difficile da delineare, ma a quello che insegna “. Il Maam è un luogo in perenne trasformazione, “un corpo molto tatuato – lo definisce De Finis dove si aggiungono continuamente piccole opere che legano, per assonanza o per contrasto, i lavori più grandi.

Non riceve finanziamenti e mese dopo mese si arricchisce grazie agli artisti che decidono spontaneamente di realizzare interventi al suo interno. È un ecosistema indipendente dalle istituzioni “. Alla domanda su cosa, effettivamente, l’amministrazione Capitolina abbia intenzione di fare con il Maam, Bergamo risponde con un vago “ho qualche idea, ma non dico ancora iente. Tuttavia continua – se è vero che si vuole recuperare l’ex Cerimant, come prevede anche il Mibact, varrebbe la pena includere nel discorso anche il Maam”. Nell’attesa di fatti concreti l’ex salumificio resta dunque nel limbo, legittimato dall’arte ma illegale per lo Stato, più che mai forte delle sue contraddizioni, baluardo del mutamento nella grande staticità della più istituzionale vita culturale di Roma.

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