In principio era Ketty, di Olga Gambari

La Repubblica, 20 maggio 2018

La Biennale Donna di Ferrara dedica una retrospettiva a La Rocca: un’artista che, scomparsa a soli 38 anni, anticipò molti temi dell’arte contemporanea.

Nel segno del corpo

“Verbum parola mot word”: un’insegna di lettere gialle su fondo blu introduce al tema principale di tutto il lavoro di Ketty La Rocca: il linguaggio. Perché l’uomo è linguaggio. Un linguaggio che in un tempo cominciato ancora prima della Storia si è fatto suono, parola, segno, immagine, gesto, corpo. Da quest’opera in forma di cartello stradale rettificato parte il viaggio alla scoperta di una grande artista scomparsa prematuramente, che tra gli anni Sessanta e Settanta si interrogò sulla reale possibilità di una comunicazione interpersonale nella nostra società. Esprimersi e comprendere come facce della stessa medaglia. La XVII edizione della Biennale Donna di Ferrara dedica a Ketty La Rocca (La Spezia 1938 – Firenze 1976) una retrospettiva curata da Francesca Gallo e Raffaella Perna nel Padiglione d’Arte Contemporanea. Con lei la Biennale Donna continua a raccontare figure di artiste di valore universale, da Ana Mendieta e Mona Hatoum a Teresa Margolles e Anna Maria Maiolino.

Ora un nome italiano, che fa sperare prossime esplorazioni su una scena nazionale ricca di storie da riscoprire. Per realizzare quest’antologica è stata condotta un’approfondita ricerca setacciando archivi di musei, gallerie e artisti, in primis quello della famiglia La Rocca, scoprendo molti inediti come un cuscino ricamato in cui aerei e rondini azzurre sembrano scontrarsi, realizzato pochi mesi prima della sua morte. Oppure il progetto originale della performance In principium erat, per l’occasione messa in scena da un gruppo di studenti, dando vita a un gioco dove la comunicazione tra gli attori è affidata a lunghi silenzi e a gestualità espressive che coinvolgono il corpo e il volto. Parola e gesto sono le due parole chiave di tutto il lavoro di La Rocca e danno anche il ritmo alla mostra. Un periplo attorno alle varie forme prese storicamente dal linguaggio, che assurge a metafora antropologica ed esistenziale. Con una personale matrice di concettualismo performativo, sempre venato dall’ironia (pungenti i suoi collage ritagliati da rotocalchi femminili, come Non commettere sorpassi impuri del ’65 con una donna in posa seduttiva abbinata a magrittiane figure maschili), l’artista seguì l’evoluzione della società attraverso quella delle lingue storiche. La parola come punto di partenza, indifferentemente infantile, popolare o intellettuale, per lei che era una maestra elementare e aveva debuttato nella poesia visiva con il Gruppo 70. Proprio allora inizia a manipolare gli alfabeti massmediatici rendendoli ricamo, fotografia, libri, collage, video, radiografie, performance. Un percorso che diede forma alla sua progressiva disillusione nel potere comunicativo non solo della lingua ma anche dell’arte. Lo dichiarò con l’azione Le mie parole, e tu? del ’75, dove a un testo letto da un’attrice si sovrapponevano la voce dell’artista e poi quella di altre persone, in una cacofonia finale che conclamava il fallimento della relazione nel mondo contemporaneo.

Esaurita l’iniziale fase verbo-visiva attorno alla “parola” venne per lei naturale la scelta del “gesto”, dall’espressione più fisica e diretta, che riteneva possedesse ancora una ricchezza di elementi mitici, rituali e fantastici. Un patrimonio dell’umanità, diceva, andato disperso nella società alfabetizzata, a differenza delle comunità tribali e primitive in cui la comunicazione era potenziata dalla partecipazione corporale. Infatti dopo il gesto arriva “il corpo”, il corpo femminile, luogo politico di codificazioni e stereotipi imposti. Le mani diventano lo strumento per la comunicazione interpersonale, speculare alla mimica, come nel libro Senza titolo

del ’74 dove trentadue autoritratti fotografici presentano una galleria di emozioni e stati d’animo.

Dal 1971 le mani animano video (il più famoso è Appendice per una supplica ‘ 75, in cui le sue mani dialogano con quelle di un uomo), performance, sequenze fotografiche, soggetti della trasmissione Rai Nuovi alfabeti,

giocando nei titoli con la frase “In principio erat verbum”, preso dall’incipit del Vangelo di Giovanni e dal primo libro della Bibbia. Le mani partecipano anche alle Craniologie,

visioni metamorfiche dove l’immagine radiografica si fonde con

dita, maschere e la scrittura manuale del pronome you, che verrà ripetuto ossessivamente anche in molte altre opere. Una ricerca di individualità e insieme un’opposizione alla reificazione della figura femminile.

Una linea continua di you disegna infatti le sue Riduzioni, serie dove enuclea la sagoma grafica primaria da foto e manifesti cinematografici.

A noi rimane la domanda sottesa a tutto il suo lavoro. Esiste la possibilità di un linguaggio autentico e personale, che ci fa esistere, che ci fa essere?

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