“Arkétipi & Matrici”, di Giulia Del Papa

Il viaggio ha inizio da una metropoli assediata dalla calura in un assolato pomeriggio estivo.

Percorrendo un sentiero che si inerpica sul monte Argentario si giunge al Forte Stella, arroccato con i suoi quattro bastioni e proteso verso l’infinito mare.

Da qui il viaggio cambia direzione, il Forte è punto di arrivo e di partenza per l’esplorazione delle sei artiste invitate da Antonio E. M. Giordano a partecipare alla mostra Archetipi e Matrici.

Popolando con le proprie opere l’interno e l’esterno del Forte, ciascuna ha avviato nel proprio linguaggio un dialogo con quello spazio maestoso, alla ricerca di quel senso primigenio da cui tutto ha avuto inizio.

In quel luogo in cui lo sguardo si perde fino al punto di fusione tra cielo e mare, il lavoro delle sei artiste si è mosso attorno ad alcuni nuclei fondamentali di attenzione come il rapporto fra umano e divino, terra e cielo, femminile e maschile.

Ad accoglierci all’ingresso è l’opera “Traiettoria Archetipo” di Cielo Pessione Fabrizi, che nel suo percorso di fiber artist sceglie tecniche di manifattura tessile per rivendicare la creatività femminile. “Traiettoria Matrice” richiama il disegno a stella della pianta del Forte, ponendolo in relazione al cielo e alla sua dimensione femminile, rappresentata dalla stratificazione di brandelli in pizzo, che consente di ottenere trasparenze e profondità. Il bianco del pizzo dialoga con il rosso e il nero, per raccontare sentimenti contrastanti che probabilmente hanno abitato per secoli nella Fortezza.

Senso di sacralità e insieme gioco di simbolismi sembrano albergare nelle opere di Floriana Celani, artista che negli anni si è sempre più avvicinata alla spiritualità e alle filosofie orientali e occidentali. Nel guardare alle sue opere è chiaro il richiamo a simbolismi religiosi, ma andando oltre quel primo momento, si scorge la volontà di rendere questo richiamo un elemento di comunicazione universale. Nelle sue sculture polimateriche orizzontali (“Il gioco dei simboli” in plexiglass e metallo; “Spazio – Tempo” in ferro e carbone sul bastione esterno), o verticali (“Trittico Mistico” e “Metamorfosi” in legno e metallo) è chiara la capacità di cogliere liberamente dal vocabolario simbolico religioso, senza però un riferimento all’una o all’altra cultura. Il suo intento è piuttosto quello di creare un linguaggio universale, che scardini la staticità delle funzioni religiose, in cui l’arte rappresenta un percorso dinamico di evoluzione interiore.

Due grandi arazzi, “Inside I” e “Inside II”, si accompagnano alla scultura tessile “Mater Terribilis” di Patrizia Trevisi. Le sue opere raccontano carnalità, quella carnalità originaria, feconda e terribile al tempo stesso. Mutilata dall’umanità la Mater Terribilis reagisce mostrando le sue ferite e quelle tele cucite diventano una pelle attraversata da grosse suture, rendendo così una trama su cui si aprono vulve e piaghe. Adagiato sulla terra arida del bastione esterno c’è l’arazzo “Terra Sterile”, a cui l’artista ha voluto dedicare le parole dell’Inno a Iside, per ribadire quell’universalità del femminile che incarna fin dall’antichità i contrasti di vita e morte ([…] Io sono sterile, eppure sono numerosi i miei figli […]).

Da una nicchia sgorgano le parole di Giulia Ripandelli. “Fili di parole” si ricollega direttamente al principio del Logos che consente la connessione tra gli opposti, poiché anche se le parole non sono decifrabili, è il fluire stesso di esse che consente la comunicazione originaria tra maschile e femminile. Tutte le sue opere muovono intorno alle riflessioni sui principi originari della vita in un senso generale. L’obelisco “Origini”, installazione in legno, luce e grafite, è un racconto che parte dalla concezione del Caos primordiale, non come mescolanza o confusione, ma come spazio cavo ricco in sé delle potenzialità della vita. Al centro di questo è l’uovo, come luce, rappresentando così l’inizio e la fine di un processo ciclico che vede il maschile e il femminile convergere nell’unità dell’assoluto ciascuno nelle proprie specificità.

Dalla corte della Fortezza scende “Totem del Cielo” di Cecilia De Paolis, una spirale in corda che nella sua forma morbida e quasi indefinita sembra calare dal cielo per riunirsi alla terra. Il suo movimento antiorario e la posizione capovolta pare invitare lo spettatore a ribaltare la propria visione, creando un movimento in cui la salita verso l’alto e la discesa verso il basso sembrano avvicendarsi in continuazione. Nel suo interesse per il mondo del design e della moda, mostra all’interno della Fortezza l’abito/scultura “Stegosaurus”, che rievoca la violenta era primigenia. Come lanciata dall’interno verso l’esterno, Cecilia De Paolis installa sulla parete esterna del Forte “Epona”, treccia in corda allusiva alla fertile dea celtica.

Un invito a guardare fuori, a compiere il percorso che dalla fortezza porta verso l’esterno e quindi verso il mare, è tutta l’opera di Silvia Stucky. Nella limpidezza e purezza della sua ricerca, è partita da quella visione dalle alte mura del Forte. L’opera fotografica che ne è nata “Portando con me l’anima in lotta” nei giorni precedenti l’inaugurazione è divenuta performance, fondendosi con citazioni dalla “Donna del mare” di Ibsen. Mare e per conversione Blu, sono elementi archetipici, matrici centrali del discorso che si svolge all’interno e all’esterno della Fortezza. Quell’Autoritratto subito gettato sul mare, stimola la curiosità dello spettatore a muoversi fuori dalla Fortezza per ammirare lui stesso lo spettacolo della Natura. Ad attenderlo vi è una sedia e di fronte una cornice. “Immagine senza forma” è un invito ad entrare in armonia con la Natura, ascoltandone la voce sussurrata, per uscire dalla cornice e comprendere che la nostra vita ha senso solo in relazione a ciò che ci circonda.

Come in un processo di osmosi gli spazi interni ed esterni della Fortezza hanno trovato una nuova vita. Ad accompagnare i visitatori lungo il percorso è stata la voce di Sara Piersantelli che ha recitato brani scelti dalle artiste, regalando così la possibilità di un contatto più diretto con le opere in mostra.

Con lo sguardo rinfrancato da tanta visione e bellezza, il viaggio si conclude sulla cima del Forte Stella, dove la mente si perde nel pensiero di ciò che è stato quel luogo e di ciò che sarà.

 

 

 

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