“Alice, ritratti nudi e crudi”, di Cristina De Stefano

Fonte: La Repubblica, 15 ottobre 2017

alice-neelStoria di Alice Neel, pittrice ribelle, che diventò un simbolo della “feminist art” Attraverso una lunga galleria di volti ha dipinto la commedia umana del Novecento

Anni Settanta. New York scopre la feminist art. Si moltiplicano mostre e dibattiti per riscoprire il lavoro di artiste dimenticate. Durante una conferenza un uomo si alza nel pubblico e grida: ” La ragione per cui le donne non hanno successo è che non hanno le palle”. Lei, seduta al tavolo dei relatori, lo guarda con calma da sopra gli occhiali e ribatte: “Le donne hanno le palle. Sono solo un po’ più in alto”. Alice Neel era così. Non aveva bisogno di alzare la voce. La sua rivoluzione l’aveva fatta con la sua vita e la sua pittura, fin dagli anni Venti, quando era una ragazza di buona famiglia e aveva dichiarato di voler studiare arte e poi era scappata con un compagno di corso cubano e aveva inaugurato la sua carriera piena di talento e di guai. Ora, matronale e famosa, si divertiva a osservare l’agitazione degli altri.

Presto, per i suoi ottant’anni, si sarebbe dipinta in uno straordinario autoritratto, completamente nuda, con il pennello in mano, il corpo deformato dal tempo e dalle gravidanze, senza bugie e senza paure. È con quest’opera, che accoglie i visitatori come uno sberleffo, che si apre la mostra monografica che sta girando l’Europa in questi mesi (ora ad Amburgo fino a gennaio) per raccontarci la più grande ritrattista americana del Novecento. I suoi quadri — impietosi, crudi, quasi vivi — parlano da soli. E la sua vita, beh, la sua vita è una dichiarazione di guerra.

Alice Neel è stata una donna libera — madre single, militante comunista, beat a modo suo, femminista quando pareva a lei — che ha seguito sempre le sue voglie e ne ha pagato sempre il prezzo. Però non si è mai sentita una vittima, perché aveva l’arte. “La strada che ho seguito, la strada che io penso faccia di te un pittore, è che — qualsiasi cosa ti succeda — devi continuare a dipingere”.

Nata nel 1900 in una famiglia borghese, è di una bellezza burrosa e convenzionale ma fin da bambina vuole essere pittrice e a sedici anni si iscrive a una scuola d’arte. Qui incontra il primo di tanti uomini sbagliati, Carlos Enríquez Gómez, cubano bellissimo e ricchissimo che come lei sogna di diventare pittore. Si sposano troppo in fretta e mettono al mondo due bambine, Santillana, che muore di difterite a un anno, e Isabetta, che la famiglia di Carlos le toglie per crescerla all’Avana. Incapace di scegliere tra la vita e l’arte, Alice ha un crollo nervoso, tenta più volte il suicidio, viene ricoverata in manicomio. Poi, finisce per scegliere l’arte, chiedendo ai medici carta e colori. ” Nell’attimo stesso in cui inizio a dipingere guarisco”, diceva.

Divorzata da Carlos, si trasferisce a vivere a New York, dove continua a sbagliare tutti gli amanti — un marinaio geloso che durante una lite distrugge tutti i suoi quadri, un musicista latino più giovane di dieci anni che la tradisce fin dal primo giorno — e a combattere contro il suo destino di donna, abortendo una prima volta, mettendo al mondo una bambina morta la seconda. Alla terza gravidanza l’amante di turno come sempre aiuta a trovare i soldi per un aborto, ma lei li usa per comprarsi un grammofono e nel settembre del 1939 mette al mondo un figlio, Richard, dal padre incerto. “Ero sempre nei night club. Ballavo il tango, la rumba, tutte queste cose. Richard è il prodotto dei night club”. È un bambino bello ma di salute cagionevole, che a meno di un anno rivela una cecità completa da un occhio, e che presto diventa la vittima preferita del nuovo compagno di Alice, il fotografo Sam Brody.

Questo è un capitolo tristissimo della vita della pittrice, perché Alice sembra incapace di difendere il figlio, che viene picchiato e abusato psicologicamente per anni, soprattutto dopo la nascita di un secondo bambino, Hartley, questa volta di Sam, nel 1941. Alice non vede, non sa cosa fare, soprattutto è presa dalla pittura, che è la sua unica ossessione. Mentre a New York passano il surrealismo, il cubismo, l’astrattismo, lei continua per la sua strada. Collezionista di anime, famosa per parlare ininterrottamente con i suoi modelli durante la posa (“era una specie di cura della parola”, ha ricordato uno di loro), accumula montagne di ritratti realistici e crudeli, dove mette a nudo i suoi soggetti. Sa che quello che fa ha un valore — “Quando i ritratti sono arte di valore, riflettono la cultura, il tempo e molte altre cose” — anche se per ora la critica non se ne accorge.

Sam è sempre il suo amante, ma in un modo tutto suo. Divorzia dalla prima moglie ma ne sposa presto un’altra. “Perché l’hai fatto?”, chiede Alice quando lo scopre. “Perché mi ha costretto”, ribatte lui. E comunque Alice continua a far sesso con un amante storico, per cui ogni tanto in casa scoppia una scenata e poi tutto riprende come prima, finché un giorno non riesce a liberarsi anche di lui. A chi le chiede perché tutti i suoi amori finiscano male, lei ribatte: “Penso abbia a che fare con il fatto che nessun uomo può sopportare a lungo una donna che gli è superiore”.

La sua casa è una baraonda dove succede di tutto.

L’Fbi la controlla perché è iscritta al partito comunista. Un giorno due uomini dell’Agenzia suonano alla porta per farle delle domande. Lei è entusiasta — “Non ho agenti dell’Fbi nella mia collezione di ritratti! Volete accomodarvi nello studio?” — ma ovviamente i due se ne vanno subito.

Devono arrivare gli anni Sessanta perché il mondo si accorga di lei. Nel 1962 una galleria le propone una rappresentanza fissa, poi una mecenate comincia a versarle uno stipendio regolare. Il figlio Richard si sposa con una donna, Nancy, che mette ordine nel suo lavoro e diventa sua assistente e modella. Con le gravidanze di Nancy inizia la stagione degli straordinari nudi di donne incinte, che fanno scandalo, con grande sorpresa di Alice.

Nel 1972 viene consacrata da una grande retrospettiva al Whitney Museum e si gode finalmente la fama e la stabilità finanziaria. Due figli, due nuore, sei nipoti, in cui trova nuovo materiale per i suoi ritratti, dipinge fino alla fine. L’ultimo ritratto, terminato pochi giorni prima di morire nel sonno, il 13 ottobre del 1984, è del suo medico. “La cosa che mi ha reso più felice in questo mondo”, amava dire, ” è stato sempre dipingere un buon ritratto”.

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