Appunti. Covid-19: la rinascita dell’arte al tempo del virus

di Salvatore Anelli

Queste mie riflessioni traggono spunto dalla lettura di un articolo di Barbara Rose, pubblicato nel magazine d’arte e cultura La Lettura del Corriere della Sera del 6 maggio 2020. In questo articolo la storica americana si interroga sullo stato dell’arte ai tempi del Coronavirus e in particolare sostiene che “quando questa crisi sarà finita, il mondo ne verrà fuori totalmente cambiato”. Allora mi sono chiesto: quali sono le cause che hanno originato nell’arte, e in particolare nell’arte contemporanea, questo stato di crisi?

La prima domanda che mi sono fatto è se sia ancora necessario conservare la sua memoria storica e, se sì, a quale pro. Tutto il movimento artistico del ventunesimo secolo ha permeato la nostra generazione, fa parte della nostra vita, ha ispirato la nostra produzione. Le opere e il lavoro dei nostri insigni predecessori hanno forgiato il carattere e la ricerca estetica della Bellezza. Tracce di questo continuo mutamento, dalle avanguardie storiche fino ai giorni nostri, compenetrano di quest’essenza vitale le sale dei musei nazionali e internazionali. E noi, pur provenendo dalla stessa cultura classica, rispetto ai nostri figli, abbiamo una percezione del mondo differente, cresciuti e formati con stili e comportamenti etici ed estetici diversi: segno evidente di questo incessante procedere storico.

La prima guerra mondiale e la successiva portarono ad una rinascita economica e culturale della società, Oriente e Occidente sono sempre più (pericolosamente) vicini, l’umanità ha aperto le porte alla tecnologia sempre più raffinata e in tutto il mondo dilaga il fenomeno della globalizzazione. L’irruzione della Tecnica, dapprima asservita all’uomo e ora padrona del nostro futuro, ha comportato una sorta di rivoluzione copernicana al contrario, in cui, la Tecnica e il Profitto si pongono al centro dell’Universo, sostituendosi all’Uomo. All’idea della dignitate hominis, di mirandoliana memoria ripresa con vigore dal filosofo Galimberti, all’uomo greco posto universalmente al centro dell’agorà e in armonia con la Natura, prende posto oggi un nuovo modello di riferimento in cui il dio denaro, la frenetica produzione di beni e di servizi, il soddisfacimento dei bisogni non essenziali stanno mettendo in crisi la nostra stessa sopravvivenza.

Heidegger ci avvertiva in tempi non sospetti che il “pensiero dominante” avrebbe portato a porre la tecnica e non l’uomo a soggetto della storia. Oggi, è come se l’uomo si fosse rinchiuso con le proprie mani in una sorta di gabbia d’acciaio, con l’unico fine di raggiungere, anche a costo di sacrificare pezzi della propria libertà, la massima soddisfazione del sé col minimo sforzo. Ed in questo la Tecnica è maestra.

Ritornando all’arte, in quarantena e in piena emergenza Covid-19, proviene da più parti l’appello ad una riflessione comune sulle sue condizioni. Da qualche anno stiamo assistendo al progressivo depauperamento di un movimento artistico, quale quello contemporaneo, che ha semplificato tutto, disperso il patrimonio di valori posti a fondamento dei codici estetici, caricato l’arte di un plusvalore meramente commerciale, non rispettoso e irriverente della sua funzione sociale. In questo sistema, ingannevole fino all’autocompiacimento, molte opere d’arte vengono sbandierate come eccezionali innovazioni artistiche salvo poi rivelarsi furbate a tavolino, una “strisciata” al bancomat del primo benpensante del potere, fatte apposta per confondere le acque e inquinarle. L’artista che se ne tiri fuori è chiamato, pena l’estinzione, ad una riflessione ponderata e profonda sul concetto di arte. Dare uno sguardo al passato per capire meglio i nodi di congiunzione tra i cardini convenzionali della cultura classica e l’anarchia attuale è quanto mai necessario per analizzare a fondo i motivi che separano la verità dalla finzione, la natura dall’artificio.

Comincia a insinuarsi il sospetto che si stia allargando la distanza tra Bellezza ed Etica. Molti artisti hanno lasciato il segno nella storia con le loro opere e col loro pensiero, ogni guerra o epidemia ha prodotto cambiamenti, infranto utopie e aperto nuove prospettive. Ogni crisi politica, economica o sanitaria ha portato con sé una trasformazione dei comportamenti. Tutte le difficoltà che l’uomo moderno ha dovuto affrontare hanno sempre lasciato una breccia di speranza e insieme una nuova rinascita. Anche l’idea della bellezza e dell’etica, in arte, si è modificata dalla sua accezione classica e si è reinventata in mille interpretazioni, dalle quali l’artista ha sempre saputo trarre conoscenza e insegnamento. Negli ultimi tempi, però, troppe operazioni artistiche sono state fatte passare per arte, quando con l’Arte non hanno nulla in comune, e sarebbe quanto mai opportuno fare tabula rasa delle migliaia di pseudo-opere sparse qua e là nei musei e considerarle definitivamente spazzatura da buttare al macero. Nell’immaginario collettivo attuale l’arte contemporanea gioca un ruolo marginale nei processi di sviluppo culturale e sociale di un territorio ma fondamentale nella logica di profitto dei nuovi mercanti di opere. La ragione risiede nella separazione tra l’arte reale del Novecento e la spettacolarizzazione mediatica e tecnocratica dell’opera di oggi. L’origine da ricercarsi nella triplice alleanza del sistema: l’opera d’arte, merce ingombrante, materia inutile e priva di anima, quasi dotata di un suo specifico codice a barre; l’artista, esecutore e firmatario dell’opera, semplice comparsa nel teatro dell’arte, manipolato e a volte strapagato, sostenuto dall’effimera critica del suo millantatore di turno; il gallerista, che ha sostituito la nobile figura del mecenate di un tempo, rispettato dal sistema, trait d’union spietatamente commerciale tra l’artista e il collezionista. E’ poi quest’ultimo il vero motore economico del sistema, le aste, il luogo ideale per compiere il delitto perfetto.

All’interno di questo meccanismo infernale, l’artista autentico non trova più spazio, si smarrisce nella narrazione pubblica, non riesce ad influenzare né ad incidere nel cambiamento: una frattura netta tra l’arte reale e il mondo speculativo del denaro e della mercificazione globale. Tutto ciò, nel tempo, ha disgregato il valore etico e morale dell’opera d’arte e la sua funzione sociale, estirpandola al suo autentico valore estetico. Ecco perché, oggi più che mai, siamo chiamati a riflettere su un nuovo modo di fare arte, che sin dalle avanguardie storiche si è sempre preservata di mantenere fermi i valori e le abilità tecniche dell’uomo. Gli artisti, fin dalle origini del secolo scorso, hanno iniziato a lavorare per sottrazione, cercando nel vuoto e nel silenzio l’essenza della creatività, quel vuoto caro al musicista John Cage, materia viva nei sorprendenti cellotex di Burri, fino all’esistenzialismo di beuysiana memoria. Opere d’arte concepite in piena libertà, nella pretesa e orgogliosa autonomia rispetto ai sistemi di potere. Ai tempi del Covid, l’Arte mostra tutta la sua vulnerabilità, imbrigliata in un non-senso artatamente simbolico dal quale non riesce ad uscire, e gli artisti costretti a dover inventare se stessi, con la consapevolezza che dei falsi sistemi, in fondo, se ne poteva fare a meno. Più che dal Covid, oggi la paura più grande è quella di rimanere infettati dal virus dell’Indifferenza.

Come sostiene Barbara Rose, è arrivato il momento di sradicare la barbarie e preservare le abilità e i valori dell’uomo. L’artista è tenuto a reinventarsi sempre, anche attraverso l’utilizzo di materiali eterogenei, in un fare e disfare che opera in senso fisico e mentale, portato a mettersi in gioco e riscoprire se stesso, non ad inseguire false chimere. Nella società dell’effimero, riusciremo, grazie all’arte, a recuperare l’originaria erubescenza, a riappropriarci della nostra libertà?

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