ANDREA FOGLI

1.DSCF4709

Andrea Fogli ha seguito studi classici e dopo la laurea in Filosofia nel 1985 inizia ad esporre con la Galleria Ugo Ferranti di Roma, articolando il suo percorso attraverso molteplici mezzi linguistici: pittura, disegno, scultura, fotografia, video e performance. Ha da sempre affiancato al suo lavoro artistico un impegno di militanza intellettuale pubblicando scritti su libri e riviste, curando mostre e eventi, oltre che workshop per giovani artisti, e partecipando dagli anni ’80 a varie riviste d’arte e progetti alternativi (tra cui “La Società Lunare” che ha diretto dal 1993 al 1995). Dal 2006 al 2008 ha insegnato alla International Summeracademy of Fine Arts di Salisburgo, dove sono stati chiamati ad insegnare i più importanti artisti internazionali. Dal 2010 al 2013 ha pubblicato circa 60 interventi sul settimanale “Gli altri”, diretto da Piero Sansonetti. Tra le mostre personali in istituzioni pubbliche ricordiamo: ”Ogni cosa”, Casino dei Principi, Musei di Villa Torlonia, a cura di Claudia Terenzi (Roma 2013); “Wanderer”, Galerie im Traklhaus (Salisburgo 2008); “Il diario delle ombre”, MARTA Museum, curata da Jan Hoet ( Herford 2006); “Scala Reale”, Villa delle Rose-Galleria d’Arte Moderna (Bologna 2002) e “Il primo giorno”, Rupertinum-Museum Moderner Kunst (Salisburgo 2000), entrambe a cura di Peter Weiermair. Le sue opere sono presenti nelle Collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Bologna, del MART di Trento e Rovereto, del MACRO di Roma, del MARTA di Herford, della Ursula Blickle Stiftung di Kraichtal e della Galleria Civica di Modena.

 

Qual è il ruolo della comunicazione, anzi dell’ipercomunicazione tipica dei nostri tempi, nel condizionare le dinamiche del mondo dell’arte?

L’ipercomunicazione di cui si parla è una bella infida scorciatoia: tutto sembra splendere ma in realtà si dimentica che è uno spazio “in vendita” ad uso di mercanti, galleristi ed artisti che vanno (per esser gentili) “di fretta”. I “piccoli” o “grandi”collezionisti, che raramente ragionano con la testa propria, si lasciano abbagliare dagli specchietti per le allodole come bambini (noti conformisti) e mettono così la ciliegina sulla torta , ovvero il necessario obolo di turno che fa quadrare il cerchio e andar avanti la baracca. La cosa che più mi sconcerta sono però gli artisti che ben si adagiano all’interno di questo circolo vizioso (degli altri “addetti ai lavori” mi importa molto meno visto che non hanno una reale identità o autenticità intellettuale e poetica da tutelare). A volta basta poco per essere risucchiati: se un artista, invece di lavorare, preferisce passare il tempo spulciando Art Tribune per aggiornare le sue strategie, o per vedere dove soffia il vento, c’è sicuramente qualcosa che non va. Il mio caro gallerista d’altri tempi, Ugo Ferranti, così mi diceva ai miei esordi negli anni ’80 : «Andrea non ti occupare di strategie, di inseguire questo o quello, pensa solo a lavorare». Ora invece sembra che il tempo passato a studio a lavorare sia un tempo perso (da accorciare il più possibile) mentre è ben più importante ed utile non perdere il contatto con l’unica società che conta: non certo la “società reale”, ma la cosiddetta “società dell’arte” divenuta ormai “società dello spettacolo”. Forse oggi è inevitabile, basta vedere le persone in treno o in metrò tutti chini sui loro Iphone e smartphone intenti a lanciare e ricevere “comunicazioni” alla rinfusa: nessuno guarda più intorno, nessuno si parla. Il tempo esistenziale, il tempo carnale, che è poi quello dell’opera d’arte, è ormai un oggetto alieno non identificato né praticato.

 In che misura e in che modo la crisi economica e di valori che attraversa l’intero Occidente riverbera e influisce sull’arte contemporanea?

Crisi economica e crisi dei valori scorrono su due binari paralleli, di cui solo il primo è in realtà avvertito da tutti, anche nel mondo dell’arte. Il vero punto della questione è invece la crisi dei valori che invece resta ancora sottotraccia, non adeguatamente affrontata: per far ciò occorre una coscienza critica capace di andar contro i luoghi comuni e le bugie che l’Occidente racconta a se stesso e agli altri, sia per quel che riguarda il suo sistema politico-sociale che la sua sovrastruttura culturale. Per fare un esempio drammaticamente attuale, mentre qui in Occidente piombano stragi e terrore la sola cosa che si sa dire (per bocca di chi ci governa o in tv) è che ci attaccano perché hanno paura della nostra libertà, perché è in atto una guerra di religione…In gioco è invece l’ingerenza economica-politica che le vecchie potenze coloniali vogliono continuare ad esercitare in quei paesi, prima finanziando rivolte (hanno finanziato anche l’Isis), poi restaurando l’ordine bombardando (come già successo in Iraq e in Libia)…. E poi quale “Libertè, Egalitè, Fraternitè” !! A mala pena si riesce a percepire l’odore di questi ideali all’interno delle nostre società dove i pochi ricchi diventano sempre più ricchi e tutti gli altri sempre più poveri, figuriamoci poi cosa realmente possono pensare di questi sbandierati valori gli “extracomunitari” raccolti nelle banlieue delle grandi città europee o quelli rimasti nelle loro terre che sono state ed ancora sono terre di conquista dell’Occidente. Certo qui possiamo andare allo stadio, sentire la musica “death metal” (che atroce “contrappasso” al Bataclan!) o immergere un crocefisso nella pipì (Serrano), ma il bandolo del gioco l’hanno in mano i produttori di armi, le multinazionali, le banche, e i loro vassalli dell’Impero cosiddetto “democratico” : quelle belle facce che parlano ai funerali e in tv e si fanno chiamare “capi di governo” e “capi di stato”. E se qualcuno rischia di essere ammazzato in guerra o in un bar non è certo uno di loro, ma tutti noi, “liberi cittadini”: passano i millenni ma la storia non cambia. Il sistema dell’arte rispecchia tutto questo: si lavora, inconsapevolmente o con cinismo, per l’1 per cento o mille degli abitanti della terra, mentre si dovrebbe avere in mente e a cuore unicamente la stragrande maggioranza che è come noi, se ci riteniamo esseri umani prima che “artisti”, se non ci vogliamo rinchiudere in dorate o solipsistiche torri d’avorio.

Esiste ancora una autonomia e un ruolo per il critico d’arte?

Dovreste chiederlo ad un critico, non ad un artista: siamo due “razze” ben distinte che raramente si intendono. La loro ideologia base è quella del “traditore”, come ha lucidamente confessato A.B.O.: nei critici d’arte infatti non vi è necessariamente quel legame tra vita, identità e lavoro che invece è inscindibile dall’essere artista. Dopo quello che ho detto prima del sistema dell’arte, parlare di autonomia e ruolo vitale del critico è sforzo vano: la gran parte dei critici rampanti in circolazione sembrano infatti ben adagiati in questo sistema ed intenti a certificare il presente più che ad affrontarlo criticamente. Gli altri invece tendono sempre più ad isolarsi, come tanti bravi artisti che oggi disertano le inquinate attuali “vie maestre” del successo. Per fortuna ho avuto la ventura di incontrare ed essere sostenuto da critici d’arte e curatori, guarda caso non italiani, che hanno mantenuto sguardo e coscienza liberi e quindi sono stati capaci di andar oltre l’Accademia dei Salons contemporanei e il loro conformismo: penso a Jan Hoet, a Peter Weiermair, a Lorand Hegyi…o alla cara Graziella Lonardi, appassionata nobile promotrice d’arte. Tutte persone di cui sembra si sia perso lo “stampino”.

Che ruolo gioca il sistema dell’arte nella selezione delle figure più influenti e di successo?

Il ruolo di chi tiene il banco nei Casinò, anzi il ruolo del Casinò stesso. Un bel palazzo luccicante, abiti eleganti, metal detector & bodyguards, dove le fiches-opere d’arte riescono a nascondere ben bene la realtà: per chi gioca in questo sistema, queste fiches artistiche in fondo non sono altro che denaro. Anche se si tratta di fiches-opere “social” o “politiche”: il “Palazzo” è un labirinto degli specchi che mangia e dissolve in ogni caso la “città reale”, anche quando va di moda l’artista-sociologo che vuole documentare le contraddizioni della nostra società. Il modello subliminale dei grandi eventi d’arte sembra infatti proprio quello dei Casinò che vengono edificati in luoghi, o locations, belle ed irreali, come Las Vegas o Montecarlo. O come Venezia.

Quali ti sembrano le figure di intellettuali (curatori, direttori di museo, filosofi) prestati all’arte di maggiore interesse ?

Alcuni, a me cari, li ho citati prima. Per il resto è vero che ultimamente, specie in Francia, hanno reclutato anche intellettuali e filosofi a tirar su le sorti malmesse dell’arte contemporanea, ma l’unico di questi che stimo veramente è un vero outsiders, per carattere ed approccio politico-intellettuale: John Berger. In una ipotetica nuova Biennale di Venezia che voglia cambiar passo, per me sarebbe lui l’ideale primo direttore dell’auspicato nuovo corso. In questi ultimi 15 anni, anche attraverso l’avallo dei cosiddetti intellettuali, è poi nata la moda di ridare un passato alle opere d’arte che l’hanno rimosso, o irriso o ignorato: e così hanno proliferato mostre con sottotitoli tipo “da Beato Angelico a Damien Hirst” , “da Fidia a Jeff Koons” e così via (li ho inventati a braccio ora, ma gli originali non erano tanto diversi). Ma che ci fanno là gli intellettuali, gli artisti, se non spaccano tutto?! Continuiamo a raccontarci favole come fanno ora governi e tv dopo le stragi di Parigi?! Entriamo nella bara in doppiopetto?! Ci diciamo da soli quanto siamo belli noi occidentali?! Gli altri, specie se neri e rinchiusi nelle Palestine di mezzo mondo o artisti e intellettuali controcorrente, non hanno neanche una briciola di ragione?! All’arte, alla vita, bisogna “dare”, non “prestare”: lavorare sodo senza prendere facili scorciatoie; quando c’è da parlare, parlare senza peli sulla lingua; cercare di dare futuro e speranza alle mani, al lavoro, ai sogni….e soprattutto far capire a noi stessi e agli altri che il 99% dell’umanità di cui siamo parte – anche se questa realtà sociale ed economica condiziona e snatura tutti – è diversa dall’involucro malato che la contiene per favorire i soliti “faraoni”. Non si tratta di tagliare teste, vecchio vizio che poi si ritorce sempre contro chi l’ha assecondato, non solo negli anni della Rivoluzione Francese: si tratta unicamente di rimettere in attività la propria, con lucidità e coraggio, tutti insieme. E poi vedere che succede.