#TRANSFUSIONI. Sul filo del desiderio

Di Giulia del Papa

mosaico“…è stato l’intero paese a ricostruire una rete di relazioni legando casa a casa, porta a porta, finestra a finestra e soprattutto persona a persona superando nell’evento estetico del Legarsi alla Montagna rancori e inimicizie e diffidenze remotissime. Forse che il grande sogno ad occhi aperti dell’arte moderna di cambiare la vita si sia realizzato, sia pure una volta soltanto, proprio qui, in questo luogo lontano dove i nomi dell’avanguardia artistica non sono altro che nomi? Credo di si: qui, l’arte è riuscita là dove religione e politica non erano riuscite a fare altrettanto…” (Filiberto Menna)

Ricordare le parole scritte da Filiberto Menna in occasione dell’evento Legarsi alla Montagna è utile per guardare con occhio più attento le opere esposte in occasione della mostra Sul filo del desiderio nell’Archivio Menna/Binga di Roma. La mostra raduna gli artisti che avevano già avviato un dialogo con lo spazio dell’Archivio nel corso del progetto Transfusioni e, come il filo lanciato da Maria Lai tra le case di Ulassai, così un filo lega diversità di pensiero ed espressione intorno all’unico concetto di fare arte. Collegandosi idealmente ai lavori precedenti, ogni artista ha proseguito su quella via già tracciata ritrovando poi un’affinità di pensiero con gli altri artisti sulle comuni tematiche di scienza, filosofia, poesia, astronomia e arte.

Ad iniziare questo percorso è Tomaso Binga con la sua opera composta da quattro stampe digitali “Per gli involontari di guerra”, che proseguono idealmente un precedente lavoro del 1991. Dopo 27 anni il mondo non è cambiato, la croce campeggia ancora, a tessere in questo caso una trama così fitta che quasi la annulla. È così che effettuando poche variazioni sul tema si ribalta il significato più comune del simbolo.

Nicole Voltan propone un’opera a china “Bacteria” in cui una figura ambigua tra disegno geometrico e immagine biomorfica, ci parla dell’origine della vita e del difficile rapporto che ci lega o slega alle altre specie viventi. Più incentrato sul valore sociale dell’arte il lavoro di Francesco Impellizzeri “Je préfère m’arrèter a l’entrée”, frase dipinta su plexiglas che racconta di un atteggiamento discreto e rispettoso nei confronti dell’altro, che nel dilagante narcisismo di massa oggi pare improbabile.

Una piccola cornice a forma di ottagono racchiude una finestrella in feltro arancione: è l’opera “Senza titolo” di Oscar Turco. Artista silenzioso e meditativo come le sue opere, racconta del rapporto tra questa cornice, piccola ma importante nella fattura, e la possibile opera che avrebbe potuto contenere. Ne nasce un’opera interattiva nello spirito più che nell’azione, una piccola finestrella che lo spettatore incuriosito è invitato ad aprire, per attivare quel dialogo tra interiorità ed esteriorità che l’arte dovrebbe sempre stimolare. La finestra infatti svela nient’altro che sé stessa, per disattendere ogni facile aspettativa da parte dell’opera d’arte.

“Corredo” di Elena Bellantoni ruota intorno alla tematica della memoria: su un asciugamano in lino, dono di matrimonio da parte della marina militare e dell’esercito sono impresse due immagini di una coppia ritratta di recente e in occasione del loro matrimonio. Il telo diviene in questo modo schermo su cui si proiettano i ricordi dei personaggi rappresentati, che lo spettatore potrà vedere solo attivando quell’occhio interiore che l’opera vuole stimolare.

Sulla statica dei corpi e del ribaltamento di senso e funzione degli oggetti è l’opera “Vis insita” di Davide Dormino, in cui due sedie stanno una sopra l’altra in un’improbabile gioco di forze ed equilibri. L’opera diviene così tramite di un pensiero complesso che dall’oggetto e dalla sua funzione contingente spinge verso leggi universali, sollecitando lo sguardo oltre il visibile.

“Hold the infinity in the palm of your hands” è il verso di William Blake che dà il titolo all’opera di Federica di Carlo, testimonianza della passione dell’artista per l’archetipo dell’arcobaleno. L’opera fa parte di uno dei quattro scatti con cui l’artista ha tentato di cogliere un reale frammento di arcobaleno appoggiato sul palmo di una mano, nella sua lunga ricerca sulla luce, sui rapporti tra colore e luce e su ciò che riguarda la visione e le infinite possibilità di percepire il mondo e conoscerlo.

Un cuore in marmo Nero del Belgio su un piedistallo dalla base riflettente è l’opera “RGB Energy” di Paola Romoli Venturi. La storia di quest’opera affonda le proprie radici nell’esperienza che l’artista ha fatto nella città di Carrara e nelle sue cave, cuore di molta parte dell’arte italiana e mondiale. Nel corso del suo lavoro a stretto contatto con i cavatori di marmo, nell’area del Monte Bettogli ritrova una scaglia a forma di cuore di marmo puro di Carrara e da questo momento nasce la sua riflessione su questa traccia del tempo, simbolo di energia cosmica. RGB Energy è la terza riproduzione della scaglia originale e nel suo nero intenso e caldo che la Romoli Venturi ha voluto valorizzare con una tramatura segnica superficiale, è custodita tutta la forza dei tre colori primari moltiplicata all’infinito, grazie alla luminosità acquisita dai riflessi.

L’opera di Silvia Stucky conclude idealmente questo percorso con le sue gouaches “Getterò in mare il cuore che ha qualche desiderio”. L’artista riproduce un fregio floreale tratto da una decorazione persiana, nel solco della sua ricerca portata avanti da anni dell’opera “senza io”. Non si tratta di un’opera “originale”, non è perciò tanto importante il risultato finale, quanto il percorso per arrivarvi, che consente all’artista di raggiungere quella capacità di calma e attenzione per porsi in ascolto e percepire ciò che spesso viene tralasciato. I due fregi sembrano muoversi l’uno verso l’altro lasciando spazio a un vuoto che è in realtà la potenzialità massima di accogliere e generare quella vita, che senza la dovuta calma e attenzione non sarebbe possibile cogliere.

Ad unire come un fil rouge gli artisti rappresentati al luogo, alla sua storia e all’uomo cui l’Archivio è dedicato sono la serigrafia di Luca Maria Patella “Mut/Tum”, l’opera fotografica di Ketty La Rocca “You, You, You” e la giacca ricamata per Filiberto Menna di Maria Lai.

 

Transfusioni#Sul filo del desiderio,

a cura di Anna D’Elia

presso l’Archivio Menna/Binga – sede romana della “Fondazione Filiberto Menna”

via dei Monti di Pietralata 16, 00157 Roma

dal 10 al 21 ottobre 2017

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