LE CHAT BALTHUS. TOCCATA E FUGA, di Anna de Fazio Siciliano

maxresdefaultGeometrie vagamente crudeli, gatti eleganti ed esseri mostruosi, bambini contorsionisti e soggetti sovradimensionati, figure erotiche e piccole femme fatale, la mostra ancora in corso a Roma non viene contestata come a Essen ma neppure troppo visitata. Peccato, Balthus voleva (solo) dipingere e far sognare.

A volte si, le figure sono volutamente boteriane, grosse, grasse, con volti tondi, altre volte sproporzionate, con le linee oblunghe e deformate; il disegno sembra scorretto di proposito e la prospettiva, quella che tanto avidamente aveva imparato da Piero della Francesca, sembra dimenticata.

Eppure si parla ancora di Balthus. Forse per quel giro dentro al tempo dell’infanzia che ci disegna sotto gli occhi? Si e non solo. Anche per la tecnica a lungo meditata consistente in una pennellata spessa e grattata dei grandi quadri, o per le piccole opere dove si percepisce la potenza claustrofobica. E a patto di non censurarlo come l’ultimo pedofilo dell’arte, una distorsione visiva ormai dominante, c’è ancora tempo per conoscerlo.

Le sue tele, che restano fino al 31 gennaio alle Scuderie e a Villa Medici, rispecchiano quel senso di segreto e irrequietezza (raccontato in un video dal figlio Stash) che si viveva standogli affianco, nella vita sociale così come in quella domestica in cui si era sempre trascinati di casa in casa, di città in città.

Che tipo Balthus! Ma come viveva in mezzo a tutto questo? Come faceva a dipingere nel trambusto della vita di società? Balthasar Klossowski de Rola apparteneva a una famiglia d’alto lignaggio, nato a Parigi nel 1908, sgusciava via dalla frenesia dell’apparenza e lavorava in disparte, con estrema lentezza. Un gatto quindi: un po’ selvatico nel lavoro ma dai modi raffinati, anche con se stesso: parlava di sé in terza persona! Era il “re dei gatti” non uno qualunque.

La mostra romana mette in campo gli elementi essenziali della sua carica pittorica e del quindicennio (1961-77) magistrale alla direzione dell’Accademia di Francia. Ma non trascura neppure aspetti tanto importanti quanto apparentemente marginali. Tra le sale delle Scuderie vive una vera e propria colonia felina, tanto è alto il numero di gatti che si intrufola dentro i quadri del pittore franco-polacco.

Due sono stati i punti fermi della sua vicenda artistica: Parigi e il poeta Rilke (con il quale la madre stringe una relazione). La ville Lumière è in quegli anni ruggenti un magico crocevia di culture e mondi diversi e la sua forza centripeta ha la stessa potenza dell’incontro con Rainer Maria Rilke nel 1919. Balthasar ha solo 11 anni ma sotto l’impulso del poeta pubblica il suo primo libro di disegni, “Mitsou”. Lo firma con il nome di Baltusz, soprannome che poi contrarrà in Balthus.

In Italia per la prima volta arriva in bicicletta! Giunge in Toscana e torna indietro. Quando invece si stabilisce a Roma, l’Accademia è in rovina, cade a pezzi. Con gran passione trova i mezzi e la restaura di sana pianta. Si sposa in seconde nozze con una giovane giapponese, immortalata nella “Stanza Turca” (questa per altro visitabile).

Les chats, i gatti, “testimoni dell’invisibile” e dalle movenze femminili, sono tra i soggetti più amati e dipinti dal pittore, forse perché vedeva in loro l’ambiguità delicata e intrigante della donna-bambina. È infatti l’ambiguità figurativa il suo cavallo di battaglia ma insieme il suo tallone d’Achille. Quello che a Balthus interessava ritrarre era l’età sospesa, quel limbo felice della fanciulla che stai per salutare e la donna che si intravede appena, come nella protagonista del romanzo Lolita.

Eppure quando inseriscono sulla copertina del romanzo di Nabokov una sua opera ne resta turbato ma al contrario quando viene accusato d’indecenza o mal compreso non si scompone se non usando queste parole: “E’ necessario conservare il gusto aristocratico di non piacere”. Forse un po’ snob…ma era la sua difesa alle critiche. Chissà oggi cosa direbbe ai tedeschi che l’hanno censurato. Si tratta davvero solo di preservare ai bambini l’età della gioia?

Forse le risposte per comprenderne la sua vera natura si trovano tra le sale dell’esposizione a Roma. Probabilmente però in fondo Klossowski è solo un pittore che vuole restare ancora avvolto nel mistero, un gatto quindi dalle tante vite, sempre pronto a nascondersi tra le pieghe delle cose. Proprio come diceva lui.

“Balthus? Uno di cui non si sa nulla”.

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