Il gran rifiuto di Ferrone Viola: CRUSH Manifesto globale al Vittoriano, di Anna De Fazio Siciliano

multimedia-160704140104E’ uno sguardo appuntito sul degrado ambientale e sulla cultura americana, quello di Ferrone Viola, uno sguardo vero, puntuale, penetrante.

Con la sua mostra Crush_Manifesto globale, al complesso del  Vittoriano, a cura di Paola Valori, con testo critico di Vittorio Sgarbi, Fabio Ferrone Viola mette in luce un campionario di immagini, realtà e oggetti ipercontemporanei. Tuttavia non esclude citazioni al passato più recente, a Rauschenberg e Warhol, a Rotella e Pollock. Ma è a Rauschenberg in particolare e alla sua poetica di richiamo alla società di massa che si appella e anche alla sua tecnica dei combine paintings.

E proprio sulla linea di Rauschenberg e Warhol, FFV parla con un’eloquenza comunicativa potente in cui è presente una forte componente di disillusione come afferma: “Le mie opere raccontano la passione ma contemporaneamente il senso di dolore che provo di fronte a questo perpetrarsi di devastazioni”.

La sua è una disillusione nei confronti del trattamento dei rifiuti, della mancanza di rispetto verso il mondo che abitiamo. Un senso di disagio dunque che pervade tutto il suo messaggio, che è insito nel suo linguaggio artistico. Tant’è vero che sono elementi “rifiutati” rigettati dalla sistema quelli che Fabio riutilizza per costruire le sue opere: tappi e fondi di bottiglie, lattine, vecchie cassette…

Parallelamente a Martin Creed, il “poeta del quotidiano” (Licia Spagnesi) Fabio combatte l’idea di un mondo dell’arte separata dal resto dell’esperienza. “Tutto quello che la gente usa può essere arte”. Degno erede anche lui di Duchamp Ferrone Viola mescola con maestria la mancata riflessione civica a un’indagine sociale del paesaggio urbano (accompagnato dal bellissimo reportage fotografico Trash ad opera degli allievi della RUFA) e denuncia insieme le grandi società di soft drink che accanto al commercio globale delle loro bevande non prevedono il  loro riciclo in modo virtuoso. E allora quello che compie Fabio è appunto questo, un tentativo di azione salvifica, un esperimento personale, un primo grande Manifesto ambientale che vuole diventare “Globale”.

Collage, cornici baroccheggianti, opere di assemblage, lattine, rifiuti vari vengono trattati in modo giocoso ma anche dando una connotazione seria e importante alla sua operazione artistica, trasformando come fa gesti irrispettosi in azioni responsabili. Le 30 “tele” di Ferrone sono sorprendenti meditazioni sull’esistenza contemporanea, sulle strutture invisibili e i meccanismi subdoli che governano le azioni  della nostra società di massa. Tra le tante opere, “My Life” non è più una tela ma un collage di oggetti tra i più strampalati: poster, piatti che ritraggono JFK o Marilyn Monroe, foto, guns & cards, gingilli vari come pure le lettere si un vecchio PC che spesso compongono frasi fortemente pop, alla Bukowsky.

“Love me forever” è una riflessione dolorosa di Ferrone Viola sul fenomeno dell’amore molesto, quello che troppo spesso sfocia in femminicidio. Infatti accanto ad un cuore alato e libero c’è una pistola che invade tutto il campo cromatico e compositivo. Tutto sommato quindi il lavoro Crush e la poetica che ne è sorta (il crushismo: schiacciare i rifiuti e ridarne nuova dignità artistica) promette di diventare un progetto itinerante che accolga nelle varie realtà in cui opera la sensibilità di persone e istituzioni di fronte a un dramma tanto imbarazzante come quello dei rifiuti. Un probelma del nostro tempo, le cui responsabilità ricadono troppo spesso sul singolo individuo.

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