FAUSTO BERTINOTTI risponde alle cinque domande di Hidalgo

E’ con grande piacere che pubblichiamo le cinque risposte di Fausto Bertinotti.

Si tratta di un uomo politico ma, soprattutto, di un intellettuale a tutti noto che ha dimostrato e dimostra quotidianamente il suo interesse per il mondo, in una prospettiva di liberazione dal bisogno e dallo sfruttamento e di espansione di tutte le capacità teoriche e creative. Nella sua visione l’uomo è considerato per quello che è e non per quello che possiede: un umanesimo integrale che riconosce all’arte il ruolo che le compete.

Qual è il ruolo della comunicazione, anzi dell’ipercomunicazione tipica dei nostri tempi, nel condizionare le dinamiche del mondo dell’arte?

Nella società dello spettacolo e delle comunicazioni si dovrebbe dare il caso che l’ipercomunicazione condizioni ogni relazione umana e ogni espressione dell’essere vivente, insomma proptio la sua natura sociale. E così è nella realtà. Salvo che due altri fenomeni entrano in campo. Uno si presenta addirittura come sovraordinatore, lo si può chiamare capitalismo finanziario globale è la specifica formazione economico sociale contemporanea della quale la comunicazione sono parte. Se le idee dominanti sono le idee della classe dominante il sistema delle comunicazioni che si presentava come signore si trasforma allora in servo. Sebbene con una pretesa di autonomia. Il secondo fenomeno si può riassumere nella formula “a meno che”. Può sempre accadere che qualcosa o qualcuno si sottragga all’egemonia del sistema e al condizionamento ossessivo del suo sistema di comunicazione, E’ l’imprevisto, vale per l’arte come per il conflitto.

 

In che misura e in che modo la crisi economica e di valori che attraversa l’intero Occidente riverbera e influisce sull’arte contemporanea?

Credo che così come il ciclo espansivo del capitalismo fordista taylorista-keynesiano, con la società dei consumi che in esso si è costituita, ha influenzato l’arte del suo tempo, così lo sta facendo l’avvento del capitalismo finanziario globale con le sue crisi, con la sua stabile-instabilità, con la precarizzazione della vita, con la rottura del legame sociale. L’arte è investita dalla crisi di civiltà che viviamo. Questa, o almeno così a me pare, emana una duplice tendenza. Da un lato sospinge ad una crescente mercificazione con la pervasiva dittatura del mercato che tende a sussumere a sé l’opera d’arte, fino a cercare di inglobare tutto ciò che viene alla luce contro il mercato. Il caso della street art, della sorte che può toccare ai murales è indicativo. Dall’altro un sistema che sistematicamente genera “lo scarto” da luogo a un “a meno che”. Esso integra, manipola, sussume a meno che dallo scarto scaturisca un’autonomia creativa. Da ciò che resta fuori, dal “residuo”, viene suggerita la salvezza, anche dell’arte.

 

Esiste ancora una autonomia e un ruolo per il critico d’arte?

A me pare che il destino della creazione dell’opera o meglio del fare dell’artista, e quella critica del critico d’arte, siano indissolubimente legati, pur nella loro necessaria autonomia funzionale e legati allo stesso destino. Simul stabunt, simul cadent.

 

Che ruolo gioca il sistema dell’arte nella selezione delle figure più influenti e di successo?

Il sistema dell’arte vive una grande stagione nella quale esso si configura, almeno  così a me pare, come una parte, e neppure trascurabile, dell’economia di mercato nell’epoca della sua finanziarizzazione e della sua globalizzazione. Non si tratta tuttavia solo di una funzione inerte e derivata. La comunicazione e la rivoluzione tecnica che l’ha investita esercita un ruolo attivo nel funzionamento del sistema giacchè è li che prende corpo l’ideologia egemone (quel che è stato chiamato il pensiero unico). Ed è li che si costituiscono gli opinion leaders. Questi ultimi, nella spettacolarizzazione possono appartenere alle più diverse discipline, dall’economia, alla scienza, alla politica, all’arte ma in tutti i casi, chiamati a contribuire alla formazione di un senso comune adattativo e competitivo. La relazione dei più infliuenti è quella stessa che ne consacra il successo. A meno che vi irrompa l’imprevisto.

 

Fausto Bertinotti 

Nel 1957 si trasferisce con la famiglia in provincia di Novara.
Fin da giovane si dedica all’attività sindacale, nel 1964 è funzionario di zona della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL), dopo qualche anno è nominato segretario provinciale della Federazione italiana degli operai tessili e fa parte della segreteria della CGIL di Novara. Nel 1969 è membro della segreteria regionale della CGIL del Piemonte, dal 1975 al 1985 ne è segretario regionale. Nel 1985 è eletto nella segreteria nazionale della medesima organizzazione sindacale, incarico che ricopre fino al 1994.
Assume il ruolo di leader della corrente sindacale di sinistra “Essere sindacato”, creata nel 1991.
All’impegno sindacale affianca quello politico. Iscritto dapprima al Partito socialista italiano, aderisce poi al Partito socialista di unità proletaria (PSIUP), con cui confluisce nel Partito comunista italiano (PCI) al momento del suo scioglimento nel 1972. Dopo la “svolta della Bolognina” del novembre 1989 da parte del segretario del PCI Achille Occhetto, Bertinotti è tra coloro che si oppongono allo scioglimento del partito. Entra comunque nel Partito democratico della sinistra (1991), ma nel maggio 1993 lo abbandona, aderendo nel settembre del medesimo anno al Partito della rifondazione comunista (PRC), di cui diventa segretario nazionale nel gennaio 1994.
È eletto nel marzo 1994 alla Camera dei deputati (XII legislatura), dove fa parte della Commissione lavoro. Nel luglio 1994 è eletto parlamentare europeo.
Nel 1996 il PRC stipula il cosiddetto “patto di desistenza” con l’Ulivo, grazie al quale la coalizione di centro-sinistra, guidata da Romano Prodi, vince le elezioni. Nella medesima occasione è rieletto alla Camera dei deputati (XIII legislatura), è componente della Commissione difesa e della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, presieduta da Massimo D’Alema. Il PRC appoggia il Governo Prodi, ma nell’ottobre del 1998 si consuma la rottura tra il partito di Bertinotti e il resto della coalizione di centro-sinistra, che porta alla caduta del Governo. Nel giugno 1999 è eletto di nuovo al Parlamento europeo.
Nel 2001 Bertinotti è rieletto deputato e, nella XIV legislatura, è componente della Commissione attività produttive, commercio e turismo.
Nel 2004 è eletto al Parlamento europeo e si dimette dalla Camera.
Nel maggio del 2004 è eletto presidente del Partito della sinistra europea (SE), incarico che gli viene confermato nell’ottobre del 2005.
Nel 2005 il PRC ed i partiti di centro-sinistra stringono un patto elettorale e di governo. Con le elezioni del 2006, che vedono la vittoria del centro-sinistra, è rieletto deputato e rassegna le dimissioni dal Parlamento di Strasburgo. Il 29 aprile 2006 è eletto Presidente della Camera dei deputati, dimettendosi dalla carica di segretario del PRC, nonché da quella di presidente della SE (ottobre 2007).
A seguito della crisi del Governo Prodi e dello scioglimento anticipato delle Camere (6 febbraio 2008), Bertinotti è scelto, per le elezioni di aprile, come candidato Presidente del Consiglio della coalizione “La Sinistra l’Arcobaleno”, che unisce il PRC, il Partito dei comunisti italiani, la Federazione dei verdi e la Sinistra democratica. Essa non supera però la quota di sbarramento e non ottiene pertanto rappresentanti in Parlamento.
Si ritira, come preannunciato nella campagna elettorale, dalla direzione politica, ricoprendo nella XVI legislatura la carica di Presidente della Fondazione della Camera dei deputati. Bertinotti ha al suo attivo un’intensa attività editoriale con riferimento particolare ai temi del lavoro, della democrazia, della pace e della nonviolenza. Nel giugno 2007 fonda la rivista Alternative per il socialismo, un bimestrale di analisi e cultura politica di cui assume la direzione. ( http://storia.camera.it/presidenti/bertinotti-fausto )

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