Da Album Arte, “From Room to Roam”. La vita oltre la cortina di ferro, attraverso la fotografia e il canto, di Anna de Fazio Siciliano

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Il progetto folk – itinerante di Lucia Nimcovà e Martin Kollàr, a cura di Lidia Pribisovà, fa tappa a Roma, allo spazio Album Arte.

Con il video “Bajka”, la Nimcovà (Slovacchia, 1977) racconta un lungo lavoro svolto in Ucraina. In soli 32 minuti e 16 secondi mette a nudo un frammento di questa terra con la sua ferita bellica, invisibile ma emergente nella povertà dei gesti quotidiani fatti di canti, balli e di voglia di vivere. Danzare sugli orrori della guerra, per tenere a distanza i fantasmi di quella tragedia passata ma anche per tentare di gestire il tempo presente con le sue mille contraddizioni; le conflittualità, gli abusi domestici, gli odi di confine, è questo il senso che il progetto riassume. Il canto, con la sua forza ancestrale, schiaccia via le brutture di ogni giorno così come le miserie della storia. “Never lose your grace, that is the power of a song” guarda caso, è il titolo del libretto che accompagna il video, in cui col suggerimento di Jill Deleuze, si raccolgono tutte le ballate, le ninne nanne e le filastrocche trovate durante il percorso di ricerca durato un anno. Lo scopo è non lasciare disperdere tutto quel patrimonio pop che si trova non solo in via ufficiale ma soprattutto tra le mura domestiche e nei momenti di aggregazione (feste, matrimoni, funerali). L’opera, insieme al libro, è una raccolta dei brani della tradizione e delle performance quotidiane, coup de théatre folkloristici di uomini e donne dell’Europa dell’Est. Mostrando non solo un osceno hip hop e un hard rap montanaro a suon di birra ma anche quel femminismo piuttosto old style che caratterizza questi luoghi, costituisce un vero e proprio documento etnografico che quindi attesta i caratteri autoctoni più esotici della regione dei Carpazi.

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Il più delle volte, il ruolo di cantare sul dolore è affidato a una donna che nel set fatiscente della sua casa-rom è capace di vincere il disagio con un sorriso amaro. Tutto questo succede nonostante le condizioni di assoluta precarietà che ormai, come suggerisce la mostra, è un grande comune divisore. Lo stesso sentimento di precarietà è anche il messaggio trasmesso da Martin Kollàr (Repubblica Slovacca, 1971) con i suoi scatti di pareti nude e vuoti di carceri tra Odessa e Kiev. L’installazione site specific fa parte di un progetto più ampio, “Provisional Arrangements”, in cui ogni foto è legata l’una all’altra. Così l’intero lavoro produce slittamenti di significato sempre diversi, anche se non sfugge tuttavia il senso più profondo: la prigione è l’incarnazione della stessa Ucraina, uno spazio claustrofobico in cui ci si muove a stento tra le sbarre della geopolitica. Il reportage di Kollàr così, volutamente anti-figurativo, si ritrova a documentare l’assenza di umanità e il vuoto di significato mentre, per converso, gioca con la sovrabbondanza di immagini, suoni, luoghi e cose, presenti nei lavori della Nimcovà.

Anna de Fazio Siciliano: storica dell’arte e articolista per prestigiose riviste del settore, ha all’attivo numerose interviste (F. Sargentini, I. Siena, A. Coliva, M. Collishaw). Dopo aver svolto un periodo di formazione e attività di ricerca presso la Direzione della Galleria Borghese di Roma, adesso in qualità di curatrice d’arte si sta dedicando a due progetti, uno sulle donne tra antichità e arte contemporanea, l’altro fotografico insieme a Sebastiano Luciano. Sarà inoltre assistente stampa per un progetto in Umbria.

 Photo credit: Sebastiano Luciano

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